> FocusUnimore > numero 38 – luglio 2023
Communicating and sharing: science tells its story. Interview with Dr. Devis Bellucci
From being a Galileo Prize finalist to telling incredible stories about biomaterials, Dr. Bellucci takes us on a journey through science popularisation, the importance of making science accessible, and the indisputable impact that scientific understanding can have on society and on political and social decisions. Popularising science is a crucial field of knowledge, a bridge between the complexity of the scientific world and the general public. It is a fascinating task that requires profound technical expertise, but also the ability to translate complex concepts into a language accessible to all, without ever losing sight of the essence of science. Dr. Devis Bellucci, a researcher at the “Enzo Ferrari” Department of Engineering, is famous for his remarkable ability to narrate science. In his book “Materials for Life. The incredible stories of the biomaterials that repair our bodies”, which was nominated as a finalist for the prestigious Galileo Prize for Scientific Disclosure, Dr. Bellucci takes us on a fascinating journey into the world of biomaterials and their applications, a field of research that is revolutionising medicine and guaranteeing a healthier, longer and better existence for millions of people worldwide. A work of scientific popularisation that is able to ignite curiosity and interest in a discipline that directly touches our lives. In this interview he talks about his work, his book, explains the most surprising discoveries in the field of biomaterials and how science outreach can have an impact on society and political and social decisions
Da finalista del Premio Galileo alla narrazione di incredibili storie di biomateriali, il Dr. Devis Bellucci ci guida in un viaggio attraverso la divulgazione scientifica, l’importanza di rendere la scienza accessibile, e l’indiscutibile impatto che la comprensione scientifica può avere sulla società e sulle decisioni politiche e sociali.
La divulgazione scientifica è un campo cruciale del sapere, un ponte tra la complessità del mondo scientifico e il grande pubblico. Un compito arduo e affascinante, che richiede non solo una profonda competenza tecnica, ma anche la capacità di tradurre concetti complessi in un linguaggio accessibile a tutti, senza mai perdere di vista l’essenza della scienza.
Il Dr. Devis Bellucci, ricercatore presso il Dipartimento di Ingegneria “Enzo Ferrari”, noto per la sua notevole capacità di raccontare la scienza, è un eccellente esempio di come questo processo possa essere gestito con maestria.
Nel suo libro “Materiali per la vita. Le incredibili storie dei biomateriali che riparano il nostro corpo”, che ha ricevuto la nomination come finalista del prestigioso Premio Galileo per la Divulgazione Scientifica, il Dr. Bellucci ci accompagna in un viaggio affascinante nel mondo dei biomateriali e delle loro applicazioni, un campo di ricerca che sta rivoluzionando la medicina e garantendo un’esistenza più sana, più lunga e migliore a milioni di persone in tutto il mondo. Un’opera di divulgazione scientifica che, attraverso le storie coinvolgenti e i dettagli sorprendenti, è in grado di accendere la curiosità e l’interesse per una disciplina che tocca direttamente le nostre vite.
In questa intervista, discuteremo del suo lavoro, del ruolo della divulgazione scientifica e di come premi come il Galileo possano influenzare la percezione della scienza da parte del grande pubblico. Discuteremo inoltre del suo libro, delle scoperte più sorprendenti nel campo dei biomateriali e di come la divulgazione scientifica possa avere un impatto sulla società e sulle decisioni politiche e sociali.
Essere finalista del prestigioso Premio Galileo per la Divulgazione Scientifica è un riconoscimento di alto livello. In che modo pensa che premi come questi influenzino la percezione della scienza e la sua divulgazione presso il grande pubblico?
Ho sempre creduto che la scienza debba essere fatta – ad esempio, nei laboratori e nei centri di ricerca – insegnata – nelle scuole e nelle università – e raccontata a tutti gli altri, possibilmente in modo coinvolgente. I premi, ma direi più in generale i Festival a tema scientifico, sono importanti in quanto sottolineano il grande valore di quest’ultimo aspetto: raccontare ai non addetti ai lavori cercando non solo di fare informazione, ma anche di seminare curiosità, rendendo attraenti delle discipline ostiche come la fisica, la chimica o l’ingegneria. Il premio Strega o il Campiello sono universalmente noti, ma l’esistenza di premi come il Galileo e, ripeto, di tante manifestazioni a tema scientifico, testimonia che un bravo scrittore non scrive necessariamente narrativa, ma che possono uscire delle belle pagine anche partendo da temi scientifici e tecnologici. Magari questo può essere d’ispirazione per qualche giovane che, pur amando una certa disciplina scientifica, non cova dentro il “sacro fuoco” della ricerca, ma quello della “parola”. Ecco: c’è tanto spazio per chi racconta, accanto a quello per chi insegna e fa.
Nel suo libro si parla delle “incredibili storie dei biomateriali che riparano il nostro corpo”. C’è una particolare storia o scoperta nel campo dei biomateriali che ha trovato particolarmente sorprendente o che ha cambiato il suo modo di vedere questo campo di ricerca?
Mi ha colpito molto approfondire la storia del professor Larry Hench, che alla fine degli anni ’60 scoprì i vetri bioattivi, ovvero i primi biomateriali in grado di legarsi ai nostri tessuti una volta impiantati nel corpo umano. Tra l’altro, quella dei vetri bioattivi è una delle tematiche di ricerca su cui lavoro al Dipartimento di Ingegneria “Enzo Ferrari” della nostra Università, insieme alla prof.ssa Valeria Cannillo. Fu un classico caso del destino quello che portò il giovane Hench a scoprire i biovetri, dato che si occupava di tutt’altro. Parliamo di un incontro, avvenuto su un autobus, con un colonnello dell’esercito americano, che chiacchierando con lui gli lanciò una sfida: inventare un materiale nuovo per impiego in campo ortopedico, che aiutasse i chirurghi alle prese con gli arti feriti dei soldati (erano i tempi della guerra nel Vietnam). Hench si buttò a capofitto sul problema e ce la fece.
Nel corso della sua ricerca per il libro, c’è stato un momento o una scoperta che l’ha particolarmente colpita e che pensa avrebbe un certo impatto se fosse più ampiamente conosciuta dal pubblico?
Direi le scoperte legate all’ingegneria dei tessuti, che si pone l’ambizioso obiettivo di ricostruire i tessuti danneggiati dei pazienti e, sperabilmente, in futuro anche gli organi. Si parte dalle nostre cellule, da un biomateriale su cui vengono seminate e da un bioreattore in cui far maturare il tutto. È un percorso che ci permetterà di superare la logica dei trapianti, realizzando in laboratorio tessuti “su misura” per ognuno di noi, qualora ne avessimo bisogno. Neanche da dire, la strada è ancora lunga.
La comunicazione della scienza è un campo in cui la chiarezza è di primaria importanza. Come affronta la sfida di rendere i concetti scientifici comprensibili senza perdere la loro complessità e profondità?
È davvero una sfida perché, per forza di cose, sulle parti più tecniche bisogna semplificare, tagliare i dettagli e badare al senso: pochi concetti, ma chiari, senza girarci attorno. E come in ogni sfida che si rispetti, saltano fuori dubbi e ansie. Uno dei patemi con cui ci si confronta è che qualche volta tende a pesare di più il timore di essere criticato da un collega per aver approssimato troppo, che non la soddisfazione di essere stato compreso da 1.000 persone inesperte. Invece, la priorità è proprio questa: interessare e coinvolgere chi di argomenti tanto difficili non sa nulla.
Come valuta il ruolo delle narrazioni e delle storie personali nel rendere la scienza più accessibile e interessante per il grande pubblico?
È fondamentale appassionare e non annoiare, e qui ognuno ha il suo stile. Nel mio caso, io do proprio ampio spazio alla narrativa, alle storie delle persone: non solo scienziati, ma anche studenti, tecnici, pazienti e gente comune che ha avuto un ruolo in una certa scoperta. Tutto ciò aiuta molto a rendere “vivo” l’argomento. In fondo, dietro a ogni vicenda scientifica ci sono dei cuori che battono: sogni, ambizioni, serendipità, mal di testa e bruciori di stomaco. Nonché talora qualche truffatore…
Quale impatto pensa che la divulgazione scientifica possa avere sulla società e sull’importanza data alla scienza nelle decisioni politiche e sociali?
Una divulgazione ben fatta è fondamentale per accrescere la fiducia della società nelle istituzioni scientifiche e, più in generale, in quelle sanitarie e nella scuola. Non sto a spendere parole per sottolineare quanto siano radicate e rumorose, grazie al web, tutta una serie di teorie balzane, bufale, ipotesi di collusione con poteri più o meno occulti e via dicendo. Ecco: a fronte di tutto questo, il divulgatore non deve mai stancarsi di spiegare, spiegare, spiegare.”