> FocusUnimore > numero 5 – giugno 2020
Sperimentare, in un’ottica di economia circolare al servizio dell’agroalimentare, nuovi metodi per le produzioni vitivinicole e, dall’altra, ridurre e riutilizzare gli scarti derivanti dalla filiera vitivinicola e zootecnica per la realizzazione di bioplastiche e compost di alta qualità attraverso gli insetti.
Passa anche da questa sfida l’imperativo di tendere ad uno sviluppo ambientalmente sostenibile, coerente con gli obiettivi che si sono dati la comunità internazionale ed europea per contrastare i cambiamenti climatici e l’impoverimento delle risorse di cui dispone il nostro pianeta.
È un passaggio difficile da compiere, ma non impossibile come dimostrano gli studi e le sperimentazioni dei ricercatori e ricercatrici dell’Università di Modena e Reggio Emilia del Dipartimento di Scienze della Vita e del Centro Interdipartimentale BIOGEST-SITEIA, dal 2016 impegnati in questa impresa che – grazie a loro – oggi appare meno lontana, decisamente perseguibile e raggiungibile.
La loro esperienza in questo campo si è consolidata mediante un ambizioso progetto europeo Horizon 2020 di economia circolare sul recupero degli scarti della ristorazione e dell’industria alberghiera (HORECA).
L’iniziativa fa perno su due progetti, finanziati nell’ambito dei fondi europei di sviluppo regionale POR-FESR 2014 -2020 – Asse Innovazione e Ricerca della Regione Emilia-Romagna, tra loro – si può dire – complementari: il primo dal titolo “SOSTINNOVI – Sostenibilità e Innovazione nella filiera vitivinicola”, coordinato dal professor Andrea Antonelli, e l’altro dal titolo “VALORIBIO – Valorizzazione dei rifiuti organici mediante insetti per l’ottenimento di biomateriali per usi agricoli”, coordinato dalla professoressa Lara Maistrello.
Attraverso il primo progetto, riassunto nell’acronimo SOSTINNOVI, ci si propone ed è – già – stata avviata l’idea di trasformare l’Emilia-Romagna in un punto di riferimento internazionale per l’innovazione sostenibile nella filiera vitivinicola, attraverso soluzioni che basano la gestione delle pratiche agronomiche sul telerilevamento con droni e sulla valutazione oggettiva della maturazione con smartphone, permettendo di modulare le attività su reali esigenze, coniugando in questo modo redditività, tecnologia, tradizione, eccellenza, tipicità e sostenibilità. Ma anche, guardando in ambito enologico, sulla esigenza di trovare valide alternative che salvaguardino maggiormente la salute dei consumatori e siano meno d’impatto per l’ambiente. Infatti, l’anidride solforica (SO2) è una sostanza tossica e i coadiuvanti alternativi come chitosano, resine a scambio ionico, o protocolli ad hoc tali da consentire la quasi completa eliminazione dell’impiego di anidride solforica aumentano i reflui che le cantine debbono smaltire, con pesanti costi monetari e ambientali, mentre potrebbero essere una fonte di reddito. Allo stesso tempo si deve puntare alla produzione di vini a basso grado, che col controllo selettivo dei polifenoli (PF) ne migliorino la qualità e riducano i flussi uscita con possibile recupero a fini nutrizionali, e di succhi d’uva stabilizzati a freddo ricchi di PF.
Oltre a ciò, tutti i sottoprodotti della filiera possono essere validamente recuperati per la produzione di energia, dando origine a residui che possono essere riutilizzati in vigneto con proficui effetti sulla fertilità del suolo o per la produzione di bioplastiche in un’ottica di economia circolare e, infine, la realizzazione di materiali composit per l’edilizia e di materiali ceramici a porosità controllata.
Non va dimenticato che la filiera viticolo-enologica ha un enorme peso a livello nazionale ed è un settore di interesse strategico per la sua importanza economica e sociale in ambito agroalimentare. In Emilia-Romagna, il vino, con una media di 6,7 Mio hl (2009-2013), è al secondo posto in Italia dopo il Veneto, e rappresenta l’8% della PLV agricola della regione e il 17% dell’intera produzione italiana con oltre 25.000 aziende agricole (il 7% dell’industria nazionale) e un impatto sociale importante per numero di soci afferenti alle cantine e di addetti.
“Il surplus produttivo (44 Mio hl prodotti – 20 Mio hl consumati) – spiega il professor Andrea Antonelli – impone una riflessione. Ci si è sempre concentrati su quote di mercato e percentuali di vendita, trascurando la ricerca di soluzioni sostenibili e innovative. Inoltre, la crescita repentina di paesi nuovi produttori come la Cina, impone la ricerca di soluzioni competitive. In questo contesto l’attenzione del consumatore agli aspetti salutistici, funzionali, alla sostenibilità economica ed ambientale sono tra i driver più importanti del mercato, anche in periodi d’incertezza economica. Tuttavia, la filiera è rimasta relativamente poco attenta a queste esigenze, mancando ancora una visione complessiva del problema”.
Soluzioni che prevedano impieghi alternativi dei residui solidi della vinificazione per la fabbricazione di biopolimeri o di materiali compositi, oggi in Italia sono solo agli esordi, mentre le potenzialità – secondo ricercatori e ricercatrici Unimore – sembrano notevoli, così come quelle del recupero di sostanze significative dal punto di vista nutrizionale (p.e. polifenoli).
Il secondo progetto, riassunto nell’acronimo ValoriBio, che ha catturato l’attenzione dei media nazionali, sperimenta, sempre in un’ottica di economia circolare al servizio dell’agroalimentare, nuovi metodi per la produzione di bioplastiche e compost di alta qualità, trasformando gli scarti provenienti dalla filiera agroalimentare da un costo economico e ambientale a un valore aggiunto per l’azienda e per la società.
Si raggiunge questo risultato con l’uso di insetti, quali le mosche soldato, Hermetia illucens, per valorizzare scarti dalla filiera zootecnica e altri rifiuti organici permettendo di ottenere teli di pacciamatura biodegradabili che rilasciano azoto nel terreno ed un compost di elevata qualità risultante dalla crescita degli insetti su questi substrati che, addizionato di zeolititi, si rivela un ottimo fertilizzante per le colture.
Il fiore all’occhiello del progetto èstato la realizzazione di un prototipo di impianto industriale ad elevata automazione per l’allevamento di massa di questi insetti, primo in assoluto in Emilia-Romagna e tra i pochissimi in Italia.
“Le larve della Hermetia illucens – spiega la professoressa Lara Maistrello – sono in grado di convertire in modo rapido ed efficiente grandi quantità di rifiuti organici in una biomassa ricca di proteine e grassi, utilizzabile per vari scopi. Peraltro, anche il residuo non assimilato dalle larve è utile per fini agronomici, trattandosi di un compost di alta qualità”.
Per comprendere l’importanza di questo approccio al trattamento della frazione organica dei rifiuti basti pensare che il nostro Paese nel 2017 ha prodotto in totale 29,6 milioni di tonnellate di rifiuti urbani e ISPR stima che in media, tra il 2008 e il 2017, il 35,7% di essi fosse rappresentato da rifiuti organici urbani, la percentuale più alta dopo la plastica (22,6%) e la carta (12,8%). Stando all’Osservatorio nazionale sugli sprechi “Waste Wather”, nel 2018 ogni italiano ha buttato nella spazzatura 36 chili di cibo del valore di 8,5 miliardi di euro, lo 0,6% del PIL.
Le cose non vanno meglio nel resto d’Europa. Nell’Unione europea si producono infatti circa 246 milioni di tonnellate di rifiuti urbani l’anno (in costante crescita negli ultimi tre anni); di questi, circa 88 milioni sono rifiuti alimentari, per un valore stimato di 143 miliardi di euro.
Riuscire a smaltire e contemporaneamente valorizzare un terzo dei rifiuti urbani sarebbe quindi un passo avanti importante.
Lo ha compreso la Commissione e la Banca europea per gli investimenti che hanno deciso di sostenere concretamente la transizione dell’Unione a un’economia circolare attraverso il Fondo europeo per gli investimenti strategici (EFSI), i Fondi strutturali di investimento europeo, il Programma LIFE e Horizon 2020.
A questa finalità risponde SCALIBUR (Scalable Technologies for Bio-Urban Waste Recovery), un progetto pilota europeo partito nel novembre scorso nell’ambito di Horizon 2020, coordinato dalla spagnola ITENE (Instituto Tecnológico del Embalaje, Transporte y Logística), nel quale si inserisce l’impianto pilota per allevare e frazionare le larve della mosca soldato, un perfetto esempio di economia circolare.
Nei prossimi quattro anni SCALIBUR lavorerà per recuperare proteine e altre sostanze preziose dalla spazzatura. “Non da tutta la spazzatura, ma dalla frazione organica – precisa Andrea Antonelli, coordinatore delle attività per l’Università di Modena e Reggio Emilia di SCALIBUR -. Il progetto considera tutti i reflui urbani, quindi anche i fanghi, le acque di depurazione, trattati per recuperare nuovi materiali o materiali di seconda generazione. Il concetto di rifiuto è un concetto squisitamente umano ed è la più grossa invenzione dell’umanità. In natura – prosegue il professore – il rifiuto non è contemplato, nulla viene buttato, tutti i sistemi naturali sono chiusi e organizzati in cicli, e ora con il concetto di “economia circolare” sembra che anche l’uomo l’abbia capito. Temo sia tardi, ma dobbiamo provarci”.
Ricercatori e ricercatrici dell’Università di Modena e Reggio Emilia stanno lavorando con scarti della grande distribuzione e degli Horeca (Hotellerie-Restaurant-Café) intercettati prima di trasformarsi in spazzatura. In questo momento si stanno caratterizzando gli scarti e si sta valutando il comportamento delle larve verificandone l’accrescimento. Parallelamente si sta studiando la maniera di industrializzare il processo di frazionamento delle larve per ottenerne grasso, proteine e chitina per utilizzi vari. A fine progetto è prevista la costruzione di un impianto pilota da affiancare a quello già esistente, ottimizzato per l’allevamento delle mosche soldato sugli Horeca.
La mosca soldato adulta non è un insetto fastidioso, vive pochi giorni e si nutre molto poco. In compenso la sua larva ha un appetito prodigioso e nell’arco di due o tre settimane raggiunge il massimo sviluppo ed è pronta per l’essicazione e il successivo frazionamento.
Dal frazionamento della larva si ricavano proteine, lipidi e chitina. Quest’ultima presenta interessanti impieghi: dopo essere stata utilizzata a lungo dall’industria delle bevande, oggi, grazie alla sua biocompatibilità, biodegradabilità e non tossicità, apre significative prospettive in campo biomedicale e in svariati altri settori. I grassi ricavati dalle larve possono essere invece impiegati per produrre energia o biodiesel e le proteine per produrre mangimi, bioplastiche, colle e così via.
Colleghi e colleghe d’Oltralpe aiuteranno il gruppo di ricerca di Unimore a verificare la presenza o meno di pericolo chimico, cioè la presenza di sostanze tossiche nelle larve.
Uno degli impieghi più interessanti e attuale resta quello della produzione di polimeri, una risposta all’allarmante consumo e indiscriminato utilizzo di prodotti di plastica, in particolare di quelli usa e getta. Questa, se non raccolta e trattata opportunamente, magari in impianti di riciclaggio, tende ad accumularsi nella biosfera senza che esistano meccanismi naturali di biodegradazione. Si assiste, tra l’altro, allora alla progressiva riduzione delle dimensioni di questi materiali senza mai sparire del tutto.
“Questi minuscoli pezzetti di plastica, visibili in sospensione anche in un mare apparentemente pulito, non sono che un aspetto del problema, che almeno possiamo vedere a occhio nudo. Ma ci sono anche le microplastiche – avverte Antonelli – che misurano un millesimo di millimetro e le nanoplastiche, un milionesimo di millimetro, che entrano nella catena alimentare. Oltre agli animali filtratori come i mitili, che filtrano e la accumulano nei propri tessuti, sono state osservate anche all’interno del plancton. Siamo quindi di fronte uno scenario assolutamente imprevisto ed imprevedibile”.
Porre un argine al degrado ambientale è l’obiettivo di fondo dei progetti di questo tipo che caratterizzano Unimore come uno dei centri più vivaci nel contrasto al cambiamento climatico e nel raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità fissati dalle autorità internazionali.
Sostenibilità e innovazione nella filiera vitivinicola, ha avuto come capofila BIOGEST-SITEIA – Centro di ricerca interdipartimentale per il miglioramento e la valorizzazione delle risorse biologiche agro-alimentari (Unimore), che e si è potuto avvalere della collaborazione e sostegno di CRPV Soc. Coop. – Centro ricerche produzioni vegetali, di CIRI-AGRO – Centro interdipartimentale per la ricerca industriale agroalimentare (Università di Bologna), di INTERMECH MO.RE. – Centro interdipartimentale per la ricerca applicata e i servizi nel settore della meccanica avanzata e della motoristica (Unimore) e di SITEIA.PARMA – Centro interdipartimentale sulla sicurezza, tecnologie e innovazione agroalimentare (Università di Parma).
Vi hanno partecipato anche le imprese CAVIRO SCA di Faenza (RA), Cantine Riunite & CIV di Campegine (RE), Gruppo Cevico Soc. Coop. Agricola di Lugo (RA), Cantina Sociale di San Martino in Rio di San Martino in Rio (RE) ed Emilia Wine SCA di Scandiano (RE).
Ha ricevuto un contributo totale di 801.556,20 euro, dei quali 254.036,42 per Unimore. Il progetto si è concluso a metà del 2018.
Il progetto ValoriBio, è stato condotto dal capofila BIOGEST-SITEIA – Centro di ricerca interdipartimentale per il miglioramento e la valorizzazione delle risorse biologiche agro-alimentari (Unimore), con i partner INTERMECH MO.RE. – Centro interdipartimentale per la ricerca applicata e i servizi nel settore della meccanica avanzata e della motoristica (Unimore), SITEIA.PARMA – Centro interdipartimentale sulla sicurezza, tecnologie e innovazione agroalimentare (Università di Parma), Reggio Emilia Innovazione (REI), la collaborazione di ASTER, Rete Alta Tecnologia Emilia Romagna, e la partecipazione delle aziende: Azienda Agricola Sant’Andrea (Gruppo Amadori), e Kour Energy.
Ha ricevuto un finanziamento di 1,2 milioni di euro e si è concluso a metà del 2018.