> FocusUnimore > numero 10 – dicembre 2020
Il grande interrogativo presente della medicina è: “Se cambiano i bisogni dei pazienti, cambiano le risposte con la formazione dei medici?”
La pratica della medicina si confronta oggi con sfide considerevoli: una più lunga aspettativa di vita e un sempre più alto il numero di pazienti cronici da trattare e da coinvolgere con consapevolezza nella gestione delle cure (empowerment), anche fuori dalle strutture dedicate.
Infatti, molti pazienti cronici sono curati fuori dell’ospedale e richiedono cure complesse a domicilio, determinando così un gravoso carico assistenziale sulle famiglie e la necessità di un approccio multidisciplinare, articolato e personalizzato.
Questo richiede una umanizzazione della Medicina. Per farlo bisogna adattarsi, bisogna cambiare il paradigma della cura … e il cambiamento deve partire dalla formazione, che deve coniugare le scienze mediche con le scienze umane.
Il mondo delle persone e del loro vivere quotidiano è alla ricerca di sapere dal medico come fuggire dalla paura della disabilità, della non autosufficienza, della morte…che oggi si cerca di eliminare anche nel lessico abituale utilizzato dai medici e dai pazienti: oggi non si dice “il tale è morto” ma “è scomparso”, “se n’è andato”, “è mancato” …
Ma la morte esiste, e l’attuale pandemia ne ha riempito le cronache. Ed esiste il “dopo”, la gestione del lutto e del dolore di chi rimane, da affrontare anche assieme al medico.
Presso UdeM, l’Università francofona di Montréal, dal 2008 è iniziata una esperienza di collaborazione all’insegnamento fra docenti universitari e pazienti; questi, riflettendo sulla propria malattia, sono diventati prima Partner nel processo di cura e poi Formatori e Ricercatori, affiancando i docenti delle facoltà medico-chirurgiche per arricchire con la propria esperienza i contenuti trasmessi nelle lezioni.
Il paziente in costante dialogo con il medico diventa suo “alleato” anche nella formazione, a fianco dei docenti per trasmettere insieme ai futuri professionisti della salute (in primis studenti e studentesse di medicina e chirurgia e di infermieristica) contenuti valoriali che sono complementari.
Ispirandosi all’esperienza di Montreal, la SIMG (Società Italiana di Medicina Generale) e l’Università di Modena e Reggio Emilia dopo essere partiti, anni addietro, con una singolare esperienza di insegnamento della Medicina Generale nei piani di studi del corso di laurea in Medicina e Chirurgia, hanno deciso di recuperare questa esperienza canadese, che riassume il suo essere nelle parole greche “Logos, Philia, Techne”: il sapere e la tecnica vengono collegate dalla Philia, il “nodo” della relazione stretta fra medico e paziente, alla base dell’immagine rappresentata nel logo SIMG.
Da quest’idea è nato il progetto EduCare www.educare.unimore.it, che ora trova una collocazione “fisica” presso il Centro dei Servizi didattici della Facoltà di Medicina e Chirurgia e si configura come un Centro interdipartimentale che sviluppa la ricerca e la formazione con i pazienti.
Il progettonasce, appunto, dal presupposto che sia necessario formare professionisti della salute “nuovi”, partendo già dalla formazione degli studenti e delle studentesse dell’area medica.
L’insegnamento, affiancato dai pazienti formatori, infatti, lascia tracce indelebili negli studenti che segnerà la loro professione per sempre.
Il paziente formatore è colui che, da “esperto” della sua malattia, impara a trasmettere gli aspetti fondamentali della vita con la malattia come “contenuti” complementari a quelli della malattia stessa: non si sostituisce al docente, ma lo affianca e lo completa. Potrebbe essere, però, anche un caregiver, una persona della famiglia chi “si prende carico” della cura di un familiare bisognoso di gestione dell’assistenza.
A Modena si è fatta già tanta strada, a partire dal 2015, per identificare un gruppo che è cresciuto nell’autocoscienza della malattia e nella capacità didattica; un gruppo che si riconosce in una APS (Associazione di Promozione Sociale) denominata “TANDEM curati e curanti insieme nella Formazione”, fondata nel 2016 e convenzionata con Unimore.
La presidente di Tandem, la paziente formatrice Francesca Rossi, dice “Scrivere il mio viaggio attraverso la malattia, raccontando soprattutto le opportunità che questa esperienza mi aveva regalato, mi ha permesso di intravedere che le vicende traumatiche sono ricollocabili e possono diventare molto utili a vari livelli. Credo fortemente che questo modello possa rendere positivamente diverso il percorso di ogni attore (paziente, caregiver o professionista della salute) in una prospettiva di crescita “in tandem”, il paziente e il suo curante, tesa al miglioramento della qualità della vita di tutti”. |
I criteri per diventare pazienti formatori sono molto rigorosi. Il paziente (o il caregiver) deve innanzitutto:
• avere una storia di malattia “stabile” dal punto di vista clinico, sia dei sintomi che del trattamento, ed essere compensato dal punto di vista relazionale e gestionale;
• avere rielaborato i suoi problemi;
• non essere risentito contro i professionisti e le strutture sanitarie;
• essere in grado di creare valore aggiunto attraverso interventi proattivi per un percorso di engagement dei pazienti per migliorare le cure, e quindi insegnare buone pratiche ai professionisti e ad altri pazienti.
Una peculiarità dell’esperienza modenese è la partenza dalle narrazioni dei pazienti. Il paziente con tali caratteristiche viene invitato a scrivere la narrazione della sua storia di vita con la malattia. La narrazione serve per individuare gli snodi essenziali della storia, e quindi gli elementi positivi per la partecipazione al progetto, con percorso strutturato.
I pazienti sono tanti e diversi, con più malattie anche contemporanee, ma con caratteristiche trasversali comuni: il bisogno di partecipare alla gestione del trattamento; la necessità di comprendere come si vive con la non-guarigione e la cronicità; i modi di gestire il cambiamento-adattamento che questo richiede, che è qualcosa di trasversale e comune a tutti i pazienti e familiari, sia che abbiano una neoplasia, sia che abbiano una malattia cronica.
Per diventare pazienti formatori, i pazienti del laboratorio Educare hanno frequentato un Corso di Perfezionamento universitario di Unimore, distribuito su più settimane fra giugno e novembre 2019, per un totale di oltre 100 ore.
Il Corso, “Metodologie didattiche per l’insegnamento della medicina con pazienti formatori”, realizzato nel Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze (DMBN) congiuntamente con il Dipartimento di Educazione e Scienze Umane (DESU), affidato alla direzione della Prof.ssa Fausta Lui, è stato progettato e finanziato dall’Associazione Tandem, con il contributo della Fondazione di Modena ed ha rappresentato un percorso di formazione – primo e ancora unico in Italia – con metodologia didattica ampiamente interattiva e simulazioni di lezioni integrate.
In uno dei moduli per la formazione alla interprofessionalità hanno partecipato anche docenti canadesi di UdeM, la Prof.ssa Marie-Claude Vanier e il paziente formatore Mathieu Jackson venuti a Modena per supportare il Corso.
Con loro sono stati realizzati laboratori con simulazioni di lezioni, frequentati da oltre 300 studenti/esse iscritti ai corsi di laurea in: Dietistica, Infermieristica (sede di Modena), Logopedia, Medicina e Chirurgia, Ostetricia e Terapia occupazionale.
Il paziente formatore è stato considerato da studenti/esse un valore aggiunto nella propria formazione universitaria in quanto: consente di comprendere meglio il punto di vista del paziente; facilita l’apprendimento di una relazione efficace tra paziente e curante; integra la teoria con la pratica clinica; facilita la collaborazione fra le professioni sanitarie.
Questi alcuni commenti espressi dai partecipanti:
“L’esperienza di apprendimento è stata molto costruttiva perché si prova a vivere l’esperienza del paziente dal suo punto di vista”; “Sono rimasta colpita dalla capacità di queste persone di condividere con noi le loro esperienze di malattia, a partire dalle caratteristiche della malattia, fino ai sentimenti più profondi. Da fare più spesso!”; “Ammiro i pazienti formatori e penso che da loro ci sia un universo da imparare”; “Penso che la formazione su questi temi sia fondamentale per chi ha nel cuore il desiderio di intraprendere un lavoro in ambito sanitario”; “Ringrazio dell’esperienza ricevuta oggi, queste sono lezioni che non si dimenticano!”.
Il Laboratorio EduCare, come spiega la sua Direttrice, Dott.ssa Maria Stella Padula, “sarà innanzitutto il luogo, fisico (o virtuale in epoca di distanziamento), in cui i docenti di contenuto e i pazienti formatori si troveranno per concordare lo svolgimento delle lezioni da tenere insieme. Ancora più importante, vuole essere un luogo di ricerca, perché, al di là dell’esperienza canadese e della nostra convinzione, qui si deve dimostrare, scientificamente, che l’insegnamento dei pazienti formatori lascia delle tracce significative e utili per la formazione dei nuovi professionisti della salute, siano essi medici, infermieri, tecnici delle diverse attività. Altro importante obiettivo, infatti, è avere oltre ai “pazienti formatori” anche “pazienti ricercatori” per trasformare le loro domande di salute in quesiti di ricerca”.
“Nel Laboratorio EduCare – afferma il Prof. Michele Zoli, Direttore del Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze – si svilupperà un nuovo ambito di ricerca nella didattica, da condurre con tecniche innovative sia quantitative sia qualitative”.
Questa attività sarà affidata ad un laureato, attraverso un assegno di ricerca finanziato dall’Associazione Tandem, cui contribuisce la Fondazione di Modena.
Tutto questo è stato reso possibile grazie anche alla continuità della collaborazione con l’Université de Montreal. “La collaborazione tra Unimore e l’Università di Montréal – commenta la Prof.ssa Marie-Claude Vanier – è iniziata da un incontro con Maria Stella Padula durante una conferenza pedagogica a Montreal nel 2013. Sostenere l’implementazione del progetto a livello italiano, del coinvolgimento dei pazienti nell’insegnamento presso Unimore, è stata una grande opportunità per noi, per l’esportabilità del modello Université di Montréal in un diverso sistema educativo e sanitario. Lavorare con il team modenese è stato un arricchimento sotto molti aspetti, ma soprattutto nell’esplorare il potere della medicina narrativa utilizzato nel progetto modenese, come strumento per insegnare la partnership del paziente. La recente apertura del Laboratorio EduCare a Modena crea nuove opportunità per progetti di ricerca internazionali congiunti sul partenariato dei pazienti e la formazione di una nuova generazione di professionisti della salute“.
I componenti del Comitato Tecnico-Scientifico del Laboratorio sono i Professori Michele Zoli (Presidente del Laboratorio), Giulio Malmusi, Giorgio Zanetti, e le Professoresse Carla Palumbo, Fausta Lui, Paola Ferri, Anna Maria Contini, Maria Stella Padula, Francesca Rossi.
Un valore aggiunto dell’esperienza finora svolta è legato al fatto che le attività con il paziente formatore hanno rappresentato un terreno ideale per relazioni interdisciplinari e interprofessionali fra professionisti delle scienze della salute, costituendo anche la prima occasione di contatto attivo fra gli studenti di diversi Corsi di laurea (medicina e chirurgia, infermieristica, terapia occupazionale, ostetricia, logopedia ecc.), la cui collaborazione, nella futura pratica clinica, è un presupposto indispensabile per la migliore cura integrata dei pazienti.
Il riconoscimento del ruolo del paziente/caregiver nella formazione dei professionisti della salute costituisce un passo verso la promozione del ruolo di partner che il paziente/caregiver può utilmente rivestire anche nel contesto della politica sanitaria e della organizzazione e gestione delle strutture sanitarie.
Attraverso il progetto di EduCare, si vuole, sempre più e sempre meglio, far apprendere agli studenti, agli specializzandi, ai professionisti sanitari non solo procedure e tecniche innovative per interventi eccezionali, ma anche le dimensioni di una medicina “umana”, nella quotidianità, e nelle problematiche più comuni, ponendo maggiore attenzione alle persone, al loro ambiente familiare e sociale e alle loro priorità, alle loro preferenze ed esigenze, che spesso vanno al di là e al di fuori della realtà della malattia come entità nosologica.
L’obiettivo della cura non può essere solo salvare la vita, ma anche dare qualità alla vita stessa.