> FocusUnimore > numero 14 – aprile 2021
Da sempre il mondo del lavoro è, tra i settori della vita civile, uno dei più esposti alle crisi e alle trasformazioni sociali ed economiche. Dall’inizio del nuovo millennio, almeno quattro eventi epocali ne hanno scosso i fragili equilibri: la crisi del debito sovrano, la trasformazione tecnologica, l’emergenza climatica e ambientale e ovviamente la pandemia.
All’interno di questo scenario globale, complesso e denso di sfide per molti versi inedite, i problemi del lavoro, anche quando mutano aspetto sotto la spinta della modernità, rimangono legati a costanti radici storiche: la vulnerabilità e la diseguaglianza. Oggi sono definiti da un mix di parole antiche e nuove: sfruttamento, caporalato, disoccupazione, lavoro povero, sorveglianza; ma anche intelligenza artificiale, piattaforme, algoritmi.
L’incrocio tra problematiche strutturali e dirompenti forze di cambiamento pone il lavoro e i suoi interpreti di fronte all’esigenza di elaborare nuove chiavi di lettura dei fenomeni e nuove formule di intervento. Due sono le “parole d’ordine” ricorrenti nel dibattito intorno a questi temi: transizione e sostenibilità.
Di transizione, o meglio “transizioni giuste”, parla da tempo l’Unione europea. Il programma di azione presentato dalla Commissione nel 2020 unifica all’interno della medesima cornice strategica gli obiettivi della transizione ecologica e digitale, individuando nei venti principi proclamati dal Pilastro europeo dei diritti sociali (tra cui parità di genere, equità retributiva, dialogo sociale, equilibrio tra attività professionale e vita familiare, reddito minimo) gli strumenti attraverso cui garantire che la conversione economica e produttiva realizzi anche migliori condizioni di lavoro, pari opportunità, occasioni di impiego e inclusione.
Il concetto di sostenibilità si ricollega direttamente ai 17 obiettivi dell’Agenda 2030 ONU sullo sviluppo sostenibile, che tentano di orientare in una direzione unitaria le dimensioni economiche, ambientali e sociali dello sviluppo, evidenziando le interconnessioni tra esse e richiamando, di conseguenza, alla necessità di individuare nuovi punti di equilibrio.
Il tratto che accomuna le strategie delle transizioni giuste e dello sviluppo sostenibile è la loro impostazione compromissoria, ovvero la tendenza a contemperare fini e interessi contrastanti benché spesso ritenuti ugualmente meritevoli di tutela. Il lavoro è parte integrante di tali dinamiche: basti pensare ai binomi occupazione-salute o produttività-benessere, spesso oggetto di una narrativa polarizzante, ma in realtà composti da fattori inscindibili.
Se i cambiamenti pongono l’urgenza di razionalizzare la naturale tendenza al conflitto che pervade la società, e il mondo del lavoro in particolare, la ricerca di nuovi paradigmi non può non coinvolgere anche il contesto regolativo, le sue forme, i suoi metodi e i suoi attori. Come regolare il lavoro in trasformazione è uno degli interrogativi su cui la Fondazione Marco Biagi e il Dipartimento di Economia “Marco Biagi” di Unimore indirizzano da tempo le proprie ricerche. Uno dei profili centrali è costituito dalle relazioni industriali, a cui è dedicato il volume di prossima pubblicazione “The Collective Dimensions of Employment Relations. Interdisciplinary Perspectives on Workers’ Voice and Changing Workplace Patterns”, curato dai/lle docenti Tindara Addabbo, Edoardo Ales, Ylenia Curzi, Tommaso Fabbri, Olga Rymkevich e Iacopo Senatori.
“Le relazioni industriali sono un fondamentale metodo di governo dei rapporti di lavoro – afferma Tommaso Fabbri, Professore ordinario di organizzazione aziendale al DEMB e uno dei curatori del volume – poiché consentono di intervenire sui problemi in modo pragmatico e flessibile, individuando speditamente le soluzioni praticabili attraverso il coinvolgimento diretto degli attori che saranno poi chiamati ad applicare le regole. Buone relazioni industriali equivalgono pertanto a maggiore democrazia nel lavoro”.
Neppure questo settore, tuttavia, è immune alle sfide della trasformazione. Il volume, che raccoglie e sviluppa studi elaborati in occasione del Convegno internazionale in ricordo di Marco Biagi del marzo 2019, si propone proprio di gettare uno sguardo sui modi in cui la sfera collettiva delle relazioni di lavoro stia reagendo a queste sfide, innovando la propria configurazione strutturale e sperimentando nuove modalità e tecniche di funzionamento.
“Il titolo del libro declina l’oggetto di analisi al plurale, le dimensioni collettive – continua un altro dei curatori, Iacopo Senatori, ricercatore di Diritto del Lavoro al DEMB – in quanto i fenomeni legati alla rappresentanza e all’autoregolazione delle parti sociali non possono più essere letti con categorie monolitiche. Le trasformazioni contemporanee mettono alla prova la tenuta dei modelli tradizionali, fondati sulla triangolazione tra imprese, sindacati e rappresentanze aziendali elettive, con un intervento dei poteri pubblici più o meno incisivo a seconda dei casi e delle scelte politiche. Nuovi attori emergono e reclamano riconoscimento e ascolto: pensiamo ad esempio ai movimenti di rappresentanza dei lavoratori delle piattaforme. Gli interessi dei lavoratori si fanno più fluidi, legandosi a identità e obiettivi professionali e di vita molteplici, rendendo sempre più arduo fornirne una sintesi collettiva. Le tecnologie favoriscono nuovi modelli organizzativi, come il lavoro agile, che destrutturano le tipiche coordinate spazio-temporali del lavoro, facendo venire meno il sostrato dell’organizzazione collettiva. Nei luoghi di lavoro emerge poi una “terza dimensione”, ancora da comprendere ed esplorare, in cui i lavoratori si atteggiano come soggetto collettivo e come tali interagiscono con l’imprenditore, al di fuori delle formali strutture di rappresentanza”.
Il quadro che l’analisi restituisce è fatto di luci e ombre. “Le relazioni industriali – secondo Olga Rymkevich, ricercatrice di Diritto del lavoro presso la Fondazione Biagi – attraversano difficoltà, ma mostrano anche segni di vitalità. Ce lo confermano le cronache di questi giorni. Se da un lato la bruciante sconfitta del sindacato nella vicenda Amazon in Alabama ci pone un forte interrogativo, soprattutto se non vogliamo accomodarci su letture un pò sbrigative alla ‘Davide contro Golia’, dall’altro, guardando all’esperienza italiana, osserviamo le conquiste dei riders, come nel recente contratto Just Eat, e i contratti aziendali innovativi su automazione e lavoro agile, di cui abbiamo molti esempi proprio nella nostra Regione. È importante, in tale contesto, il ruolo giocato dalle istituzioni: pensiamo agli accordi contro il caporalato digitale stipulati sotto l’egida del Ministero del Lavoro e, localmente, del Comune di Modena, così come al Patto per il Lavoro e il clima della Regione Emilia-Romagna, che riunisce amministrazioni pubbliche, sindacati, associazioni imprenditoriali, al quale partecipano anche le università del territorio. Tutte queste iniziative procedono nella direzione di coniugare sviluppo e coesione sotto il segno dei diritti. Diritti che non sono un fine, ma un mezzo affinché il lavoro, a cui il patto costituzionale affida la fondamentale funzione di liberazione dal bisogno ed espressione della personalità dell’individuo, sia anche strumento di dignità e benessere per tutti”.