> FocusUnimore > numero 11 – gennaio 2021
L’Himalaya – sorprendentemente – si è rivelato essere una “fabbrica” di aerosol in grado influenzare il clima.
Questa è la conclusione a cui è giunto un gruppo di ricerca internazionale, coordinato dal Prof. Federico Bianchi dell’Institute for Atmospheric and Earth System Research (INAR) dell’Università di Helsinki, e a cui ha collaborato anche una unità Unimore, rappresentata dal Prof. Alessandro Bigi del Dipartimento di Ingegneria “Enzo Ferrari”.
Il gruppo, molto composito, si è avvalso di scienziati italiani, espressione dell’Università di Modena e Reggio Emilia e della sede di Bologna di ISAC-CNR, francesi, svizzeri ed estoni, oltre ai coordinatori finlandesi, che hanno contribuito allo studio in forme diverse, chi fornendo supporto logistico od economico, chi prestazioni legate alla interpretazione scientifica, analisi dati e alla scrittura.
Al gruppo si sono aggiunte anche due aziende specializzate nello sviluppo di strumentazione per la ricerca scientifica, una americana e una svizzera, che collaborano da più di un decennio tra loro e con centri di ricerca in tutto il mondo.
Lo studio ha avuto inizio con una campagna di misure di composizione dell’atmosfera nel novembre e dicembre 2014 presso la Piramide dell’Osservatorio Climatico del Nepal a 5.079 m sul livello del mare, dove da oltre 10 anni si esegue un monitoraggio meteorologico e di composizione dell’atmosfera, che per le sue caratteristiche permette di progettare e contestualizzare anche campagne di misura brevi, oltre ad essere attrezzato per ospitare ricercatori per lunghi periodi.
La motivazione scientifica che spinge ricercatori e ricercatrici a studiare la composizione dell’atmosfera in luoghi così remoti e in inverno, è la ricerca di condizioni atmosferiche in cui l’impatto umano sia minimo, ovvero condizioni con prevalente influenza delle emissioni in atmosfera di origine vegetale.
In realtà alle quote della Piramide la vegetazione non è presente, ma durante la giornata si sviluppano intense brezze da valle a monte, seguite da deboli brezze contrarie di notte, e l’Osservatorio viene raggiunto dall’aria a quote più basse durante le ore diurne. Inoltre, l’Osservatorio è all’interno del Parco nazionale di Sagarmatha, con un discreto censimento delle specie arboree, soprattutto da parte di ICIMOD (https://www.icimod.org/) un centro internazionale per lo studio della regione dell’Hindu Kush Himalaya. “In ottica più ampia, – spiega il Prof. Alessandro Bigi – l’obiettivo che spinge i ricercatori a studiare l’atmosfera in luoghi così remoti è migliorare la comprensione del ruolo della vegetazione sull’atmosfera per permettere una valutazione più accurata del clima in periodo pre-industriale e ridurre l’incertezza negli scenari di simulazione del clima futuro”.
Nello specifico di questo studio, l’obiettivo era di conoscere l’origine dei gas che in questa valle, con frequenza quasi giornaliera, si trasformano in una grande quantità di nanoparticolato atmosferico, “particelle che, appena nate – ci ricorda il Prof. Bigi – hanno dimensioni di circa 1 nanometro e che per un delicato equilibrio riescono a non evaporare, ma al contrario a far condensare ulteriormente vapori su sé stesse ed ad aumentare rapidamente la propria dimensione fino a circa 100 nanometri, sufficienti per rimanere stabilmente presenti in atmosfera”.
Questo fenomeno era noto da anni presso la Piramide, ma prima di questo studio, nessuno si era mai avventurato in inverno con strumentazione innovativa e specifica, per poter stimare in tempo reale la composizione chimica di queste nanoparticelle. E nessuno, prima di questa ricerca, aveva mai studiato quale fosse il loro destino.
I risultati ottenuti sono tali da aver meritato la copertina del numero di Gennaio 2021 della prestigiosa rivista Nature Geoscience (https://www.nature.com/ngeo/volumes/14/issues/1) con l’articolo Biogenic particles formed in the Himalaya as an important source of free tropospheric aerosols (Le particelle di origine naturale formatesi sull’Himalaya sono un’importante fonte dell’aerosol presente in troposfera libera).
L’analisi e l’interpretazione della grande mole di dati raccolti sulla meteorologia locale, la composizione e la granulometria di particolato atmosferico hanno richiesto uno sforzo collettivo del team, a cui Unimore ha contribuito attivamente con un gruppo di ricercatrici e ricercatori del laboratorio LARMA (www.larma.unimore.it), diretto dalla Prof.ssa Grazia Ghermandi. Il LARMA impegnato da tempo su tematiche ambientali, aveva l’incarico di analizzare e interpretare i livelli di nanoparticolato durante la campagna di misura in relazione alla meteorologia locale lungo tutta la valle, per individuare quando e in quali condizioni meteorologiche avviene la formazione di nuove particelle.
La granulometria delle particelle studiate comprende sia particelle con debole carica elettrica e dimensione tra 0.8 e 40 nanometri, che particolato senza carica elettrica con dimensioni tra 0.8 e 500 nanometri. Lo studio combinato di questi dati con dati di inquinanti atmosferici (es. PM10, Black Carbon, SO2), con la meteorologia di 4 stazioni lungo 30 km di valle e con i risultati dell’analisi dei dati di composizione chimica di queste particelle, ha permesso di dimostrare come all’origine della loro formazione ci siano i gas emessi dalla vegetazione a valle della Piramide.
Processi di formazione di nuove nanoparticelle originate da ossidazione di gas sono molto frequenti in vari luoghi del mondo, compresa la pianura Padana e anche a Modena, ma sono ancora in parte inspiegati. Uno dei precursori più noti e più tipici di queste nuove particelle è l’acido solforico, che in atmosfera deriva dall’invecchiamento del biossido di zolfo atmosferico (gas).
Lo studio alla Piramide, che ha livelli di acido solforico quasi nulli, ha dimostrato come anche in atmosfera la formazione di particelle può avvenire anche in assenza di acido solforico, come già dimostrato da precedenti studi di laboratorio presso il CERN.
L’ultima parte dello studio ha valutato il destino di tali particelle: questo è stato simulato dal gruppo di Helsinki con un modello di dispersione atmosferica, dimostrando come la maggior parte di queste riesca a raggiungere venti non influenzati dal terreno per essere poi disperse a decine o centinaia di km di distanza. La loro presenza può quindi essere all’origine di condensazione di vapore e alla formazione di nubi. La stima approssimativa dell’impatto di tutte le valli del versante sud dell’Everest, ha mostrato come questo processo possa far raddoppiare o anche di più la concentrazione indisturbata di particelle al di sopra dell’Himalaya, facendo di questa catena montuosa una “fabbrica di aerosol”.
Questo studio segue una ricerca analoga presso l’osservatorio Sphynx sulle Alpi svizzere a 3.571 m s.l.m. ed è stato a sua volta seguito da una campagna di misure presso l’osservatorio Chacaltaya in Bolivia a 5.300 m s.l.m.. Obiettivo comune, l’identificazione dei principali gas precursori della formazione di nanoparticelle in atmosfera in varie aree del globo, in condizioni indisturbate, per conoscere l’influenza della biosfera sulle nubi e sul clima.
“Tra i vari composti atmosferici, gli aerosol – afferma il Prof. Bigi – sono quelli con l’impatto climatico di cui la scienza ha maggior incertezza, soprattutto per la loro influenza sulle nubi che motiva un impegno scientifico globale con ricerche di varia natura, come campionamenti diretti in nube, analisi di immagini satellitari o misure al suolo in alta quota, come questo studio”.
Il Gruppo Intergovernativo sul Cambiamento Climatico (IPCC) stima che l’effetto complessivo degli aerosol porti ad un raffreddamento del clima, altro aspetto da tenere in considerazione in un probabile scenario di riduzione di inquinanti atmosferici, es. per il biossido di zolfo (SO2).
Le metodologie applicate in queste ricerche sono utili per studiare anche le zone fortemente inquinate come la pianura Padana, per poter stimare il contributo delle sorgenti di emissioni gassose e della meteorologia locale sulla formazione di alte concentrazioni di particolato.
Si tratta di una prospettiva che è già realtà a Pechino, dove strumentazione simile a quella portata in Piramide sull’Himalaya sta fornendo informazioni molto precise sulla composizione delle particelle e con un’alta risoluzione temporale, permettendo una suddivisione tra particelle di origine puramente gassosa e non.
In Europa il recente Green Deal promuove un monitoraggio diffuso di nanoparticolato anche in ambiente urbano: “questa attività, affiancata da strumentazione ad alta risoluzione in siti specifici – conclude il Prof. Bigi – è fondamentale per comprendere meglio il ruolo delle fonti emissive e i processi di trasformazione dei composti in atmosfera”.
Lo studio, che porta la firma di F. Bianchi, H. Junninen, A. Bigi, V. A. Sinclair, L. Dada, C. R. Hoyle, Q. Zha, L. Yao, L. R. Ahonen, P. Bonasoni, S. Buenrostro Mazon, M. Hutterli, P. Laj, K. Lehtipalo, J. Kangasluoma, V.-M., Kerminen, J. Kontkanen, A. Marinoni, S. Mirme, U. Molteni, T. Petäjä, M. Riva, C. Rose, K. Sellegri, C. Yan, D. R. Worsnop, M. Kulmala, U. Baltensperger and J. Dommen, è liberamente disponibile all’indirizzo rdcu.be/cbOLx
Il LARMA (www.larma.unimore.it) è un laboratorio per la ricerca e per la didattica di varie tematiche ambientali svolte da uno dei gruppi di ricerca di Ingegneria Ambientale del Dipartimento di Ingegneria Enzo Ferrari (DIEF) in vari settori di interesse, che riguardano in particolare:
– la dispersione e il trasporto di inquinanti in atmosfera
– il campionamento e l’analisi del particolato atmosferico
– l’analisi di elementi in tracce in campioni ambientali
– la caratterizzazione del territorio da immagini satellitari e GIS
– l’esposizione della popolazione a vari agenti di rischio di origine antropicaIl LARMA è dotato di numerosi strumenti per la ricerca ambientale e di software avanzati, come modelli di simulazione della dispersione degli inquinanti, strumenti per l’elaborazione di immagini satellitari, GIS e per l’analisi geostatistica, modelli di trasferimento radiativo e modelli per la valutazione dell’esposizione della popolazione ad agenti patogeni per studi epidemiologici e di rischio sanitario. Inoltre, vengono svolte indagini di meteorologia e climatologia avvalendosi della rete delle stazioni di rilevazione dell’Osservatorio Geofisico di Unimore, recentemente entrato nella rete degli Osservatori Centenari promossa dall’Organizzazione Meteorologica Mondiale.
Diretto dalla Prof.ssa Grazia Ghermandi (delegata del Rettore per la Sostenibilità e delegata UNIMORE per la RUS Rete delle Università per lo Sviluppo Sostenibile), completano lo staff il Prof. Sergio Teggi, il Prof. Alessandro Bigi, il meteorologo Dott. Luca Lombroso, le Dott. Ing. Sara Fabbi, Francesca Despini e Sofia Costanzini, i Dott. Ing. Ohad Zivan e Giorgio Veratti e il dottorando ing. Lorenzo Vaccari.