> FocusUnimore > numero 19 – ottobre 2021
Air pollution ages the brain: the results of a Unimore study
The researchers of the Department of Biomedical, Metabolic and Neural Science, led by professor Marco Vinceti, are conducting a particularly innovative study on the correlations between the increase in the risk of dementia and air pollution.
The study, named “The association between air pollutants and hippocampal volume from magnetic resonance imaging” was recently published on “Environmental Research”, an international journal of Public Health and Environmental Medicine.
Research has shown that air pollution by fine particles and nitrogen oxides negatively affects the volume of the hippocampus and consequently its very important cognitive and memory functions, increasing the risk of dementia.
On the other hand, there is no link between damage to the hippocampus and nitrogen dioxide, another known pollutant generated by combustion sources, including car traffic and domestic heating systems.
The activities of the research group continue to systematically investigate the effects of the exposure to environmental risk factors on brain structures.
The study was supported by the project “Excellence Departments 2018-2022” and the funding “University Fund for Research” Unimore-Fondazione Cassa di Risparmio di Modena 2019, which has been awarded to professor Marco Vinceti. Professor Vinceti will carry it forward together with Dr. Erica Balboni, first author of the research, Dr. Tommaso Filippini, along with the team led by professor Giovanna Zamboni, with Doctors Gabriele Guidi and Luca Nocetti, and professor Giuseppe Pagnoni, within an international collaboration with researchers of the Brain Research Center, the Institute of Global Health in Barcelona and the American universities of Harvard and Brigham Young.
Un gruppo di ricercatori e ricercatrici, guidati dal Prof. Marco Vinceti, sta indagando sulle correlazioni tra l’aumento del rischio di demenza e l’inquinamento atmosferico.
Quello condotto dai ricercatori del Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze è uno studio particolarmente innovativo: essi hanno infatti pubblicato la prima meta-analisi dose-risposta mai realizzata riguardante gli effetti dell’inquinamento atmosferico sull’ippocampo, struttura cerebrale di grande importanza per la memoria e per il decadimento cognitivo.
Prima autrice della ricerca è la ventiquattrenne modenese Erica Balboni, laureatasi in Fisica ad Unimore, attualmente specializzanda in Fisica Sanitaria presso il Policlinico di Modena e assegnista di ricerca al Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze (BMN) nell’ambito del progetto ministeriale ‘Dipartimenti di Eccellenza 2018-2022’, precedentemente coordinato dal Prof. Carlo Adolfo Porro e ora diretto dal Prof. Michele Zoli.
Lo studio, dal titolo “The association between air pollutants and hippocampal volume from magnetic resonance imaging” è stato di recente pubblicato sulla rivista internazionale di Sanità Pubblica e Medicina Ambientale “Environmental Research”. Si è proposto di valutare se l’inquinamento atmosferico da polveri sottili e da ossidi di azoto potesse influenzare negativamente il volume dell’ippocampo e di conseguenza le sue importantissime funzioni cognitive e di memoria, aumentando il rischio stesso di demenza.
Gli autori hanno raccolto tutti gli studi neuroepidemiologici sino ad oggi pubblicati su questa tematica, richiesto in alcuni casi ai singoli gruppi di ricerca ulteriori dati non pubblicati, ed infine utilizzato tecniche statistiche avanzate di meta-regressione.
I risultati ottenuti hanno evidenziato come le polveri sottili, e in particolare il cosiddetto particolato fine (PM2,5), siano associati ad una significativa riduzione del volume di questa fondamentale struttura cerebrale. Assente invece è apparsa una relazione tra danni all’ippocampo e biossido di azoto, un altro noto inquinante generato dalle sorgenti di combustione, tra cui il traffico autoveicolare e gli impianti di riscaldamento domestico.
Un ulteriore significativo risultato emerso da questa analisi è consistito nella comparazione tra effetto dell’inquinamento atmosferico e dell’invecchiamento sulla riduzione di volume dell’ippocampo.
Gli autori hanno stimato come l’incremento dei livelli di inquinamento ambientale di 10 µg/m3 di PM2,5 determini un effetto simile a quello esercitato da un anno di ‘età anagrafica’, permettendo quindi di individuare un effetto vero e proprio di invecchiamento precoce indotto da elevati livelli di inquinamento dell’aria esterna.
Tale osservazione rende di conseguenza ancora più significativi gli effetti positivi sulla salute dovuti agli interventi di mitigazione ambientale e sanità pubblica. L’effetto benefico della riduzione dell’esposizione alle polveri fini è apparso più marcato ad elevati livelli diinquinamento ambientale, evidenziando una relazione definibile sul piano statistico come ‘non-lineare’.
L’attività del gruppo di ricerca neuroepidemiologico, coordinato dal Prof. Vinceti, intende adesso approfondire in modo sistematico gli effetti dell’esposizione a fattori ambientali di rischio sulle strutture cerebrali.
Tale attività sarà condotta in collaborazione con il gruppo di ricerca guidato dalla Prof.ssa Giovanna Zamboni, Associata di Neurologia Unimore, con i Dottori Gabriele Guidi e Luca Nocetti del Servizio di Fisica Sanitaria del Policlinico di Modena per quanto riguarda gli studi di neuroimaging strutturale e funzionale, e con il Prof. Giuseppe Pagnoni, Associato di Fisiologia Unimore, per quanto riguarda il filone di ricerca neurofisiologico.
“Condurre analisi statistiche avanzate sugli esiti delle valutazioni di neuroimaging– afferma la Dott.ssa Erica Balboni – può fornire risultati di notevole interesse nell’ambito della sanità pubblica, evidenziando altresì l’importanza della ricerca nell’ambito delle neuroimmagini e della neuroepidemiologia. Ringrazio il Prof. Vinceti e il Dott. Filippini per avermi dato la possibilità di lavorare su questo progetto interdisciplinare, ampliando le mie competenze in termini epidemiologico-statistici e permettendomi di mettere a frutto quanto appreso nel corso di studi in Fisica e nella mia attività presso il Servizio di Fisica Sanitaria dell’Azienda Policlinico di Modena”.
“Vi è una tendenza generale – commenta il Prof. Marco Vinceti – ad incorporare gli aspetti di neuroimaging in ambito neuroepidemiologico, al fine di identificare precocemente sia nel bambino sia nell’adulto i fattori ambientali di rischio del decadimento cognitivo e delle malattie neurodegenerative. A tale proposito, non posso che rilevare e ringraziare la straordinaria opportunità offertaci dal sostegno del Progetto MIUR Dipartimenti di Eccellenza del nostro Dipartimento BMN e del FAR UNIMORE-FOMO, nonché l’importanza esercitata dalla collaborazione interdisciplinare tra competenze biomediche (Fisiologia, Neurologia e Sanità Pubblica) e scienze fisiche, realizzando in tal modo una proficua interazione tra ambiti solo apparentemente lontani”.
“La sofisticata ricerca del gruppo del Prof. Vinceti – commenta il Prof. Michele Zoli – tocca un argomento di grande attualità e interesse sanitario e sociale nel senso più ampio, ovvero il possibile impatto di alcune forme di inquinamento sul decadimento cognitivo. L’evidenza di queste associazioni epidemiologiche è fondamentale per indirizzare la ricerca verso specifici fattori di rischio e meccanismi neurobiologici, e darà quindi importanti frutti in diversi ambiti biomedici”.
Lo studio è stato sostenuto sia dal Progetto ‘Dipartimenti di Eccellenza 2018-2022’ che dal finanziamento “Fondo di Ateneo per la Ricerca” Unimore-Fondazione Cassa di Risparmio di Modena 2019, conferito al Prof. Marco Vinceti del BMN, tutor della Dott.ssa Balboni e del Dott. Tommaso Filippini, dottorando di ricerca in Medicina Clinica e Sperimentale e ricercatore Unimore a tempo determinato.
I tre ricercatori del BMN hanno condotto tale progetto di ricerca nel contesto di una collaborazione internazionale comprendente ricercatori e ricercatrici del Brain Research Center e dell’Institute of Global Health di Barcellona nonché delle università statunitensi di Harvard e Brigham Young.