FocusUnimore > numero 40 – ottobre 2023
PRIN 2022 Health Area
Among the 51 PRIN (research projects of national interest) 2022 with Unimore stakeholders funded by the MUR, almost a third are in the Health disciplinary area, with topics ranging from the study of neuropathies or neurodevelopmental disorders to tumours of various types, and the treatment of HIV. These important projects have many Unimore professors as leaders and coordinators, in collaboration with professors from other leading universities, and deal with issues that are fundamental to the wellbeing of the community.
Tra i 51 PRIN 2022 con PI di Unimore finanziati dal MUR quasi un terzo fanno parte dell’area disciplinare Salute, con tematiche che spaziano dallo studio delle neuropatie o disturbi del neurosviluppo ai tumori di diverse tipologie, fino al trattamento dell’HIV.
Il ventaglio dei progetti si apre con uno studio sulla malattia di Alzheimer (AD), la forma più comune di demenza nelle persone anziane, coordinato dalla Dr.ssa Antonietta Vilella, con il coinvolgimento della Prof.ssa Giovanna Zamboni, del Prof. Michele Zoli, della Dr.ssa Giuseppina Leo e della Dr.ssa Monica Piemontese del Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze di Unimore.
Questa malattia è caratterizzata da deposizione di placche extracellulari di beta amiloide (Aβ), neuroinfiammazione, alterazioni delle funzioni cognitive e altri deficit neuropsichiatrici. Sempre maggiori evidenze scientifiche suggerirebbero che l’alterata comunicazione tra neuroni e cellule gliali sia un evento precoce alla base dello sviluppo della malattia. Tuttavia, le tempistiche e le modalità con le quali questi processi avvengono sono ad oggi poco esplorate.
L’ipotesi alla base di questo studio è che le cellule microgliali, cellule immunitarie del sistema nervoso centrale, rispondono diversamente al rilascio di Aβ durante lo sviluppo dell’AD; inoltre, in questo contesto, le vescicole extracellulari-nanoparticelle membranose che trasportano lipidi / proteine / enzimi / microRNA – e il loro contenuto giocano un ruolo importante nell’interazione tra neuroni e microglia. Recentemente, è stato dimostrato che le vescicole extracellulari di origine neuronale e gliale, isolate sia dal liquido cerebrospinale (LCS) e dal sangue di pazienti AD sia da modelli animali di patologia, sono in grado di attraversare la barriera emato-encefalica e portare in periferia marcatori di patologia, come Aβ42.
Tuttavia, l’associazione tra il contenuto delle vescicole extracellulari e lo stato della patologia cerebrale in AD non è stata ancora studiata, pertanto un’accurata analisi e caratterizzazione delle vescicole extracellulari si rende necessaria, sia in termini di miRNA che di proteine. L’obiettivo di questo progetto è quello di colmare questa lacuna, combinando approcci multidisciplinari in vivo, in vitro ed ex-vivo.
Il Disturbo dello Spettro Autistico (DSA), che colpisce in Italia 1 bambino ogni 77 nati, è invece al centro degli studi del progetto che ha come PI il Prof. Antonio M. Persico. Questa patologia origina da anomalie del neurosviluppo dovute, nella maggior parte dei casi, ad una vulnerabilità poligenica/oligogenica, su cui possono agire fattori ambientali soprattutto in epoca prenatale e postnatale precoce. Le anomalie comportamentali divengono generalmente osservabili intorno ai 18-24 mesi di vita. Ad oggi, la diagnosi di DSA si basa ancora sulla sola osservazione del bambino e non esistono biomarcatori a supporto della clinica dell’autismo: non possiamo prevedere se un bambino andrà incontro ad un DSA, se svilupperà un linguaggio espressivo o rimarrà non verbale, quale sarà il suo grado di risposta alle terapie riabilitative.
“Da anni studiamo – spiega il Prof. Persico – la metabolomica urinaria dei bambini con DSA e abbiamo pubblicato la presenza di composti, alcuni provenienti dal microbiota intestinale, in quantità significativamente maggiori rispetto ai fratelli/sorelle non autistici e ai controlli normotipici. Abbiamo inoltre identificato un composto derivante soprattutto da batteri intestinali, il p-cresolo, significativamente più abbondante nelle urine di bambini autistici. Insieme al suo metabolita, il p-cresil-solfato, rappresenta una nota tossina uremica con spiccati effetti negativi anche sul sistema nervoso centrale. Abbiamo dimostrato che una singola somministrazione di p-cresolo nel topo BTBR, affidabile modello murino di DSA, è in grado sia di esacerbare i comportamenti simil-autistici, sia di indurre ansia ed iperattività, le due co-morbidità più frequenti nel DSA umano”.
Il progetto mira a consolidare ed estendere questi risultati. Sulla base dei risultati ottenuti, verranno progettati interventi innovativi con “smart foods” contenenti prebiotici, in grado di ridurre la produzione e/o l’assorbimento intestinale dei metaboliti più patogeni, quantificandone poi l’efficacia sui sintomi autistici, nonché eventuali effetti sinergici con le terapie per il DSA già attualmente disponibili.
Anche cambiamento climatico e inquinamento atmosferico sono tra i fattori che possono rappresentare un rischio per lo sviluppo di patologie croniche sia nelle persone adulte sia nelle persone di minore età. Il progetto PRIN che vede PI il Prof. Tommaso Filippini ha come obiettivo quello di valutare la relazione tra l’esposizione a vari fattori ambientali quali inquinamento atmosferico, illuminazione notturna e verde urbano con lo sviluppo di patologie neurodegenerative e del neurosviluppo tutt’ora caratterizzate da un’eziologia ancora sconosciuta ma che hanno registrato negli ultimi anni un aumento di incidenza in Italia e altri paesi nel mondo: la sclerosi laterale amiotrofica (ALS) e i disturbi dello spettro autistico (ASD).
“La prima parte del progetto – spiega il Prof. Filippini – verrà dedicata alla raccolta e validazione della modalità di valutazione dell’esposizione ad inquinamento atmosferico, luminoso e verde urbano anche tramite validazione tramite informazioni fornite da fonti terrestri come mappe di uso del suolo, dai di monitoraggio dell’aria, nonché caratterizzazione e accessibilità degli spazi verdi in stretta collaborazione con i nostro partner del Politecnico di Milano”.
Unimore quale capofila del progetto avrà infatti il compito di indagare la qualità e la validità dei database digitali disponibili da fonti satellitari per la valutazione dell’esposizione a tali fattori ambientali. In tale lavoro saranno coinvolti i Proff. Annalisa Bargellini, Tommaso Filippini e Sergio Rovesti della Sezione di Igiene del Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze in collaborazione con il Dott. Andrea Rebecchi (Co-PI del progetto) e il Prof. Daniele Fanzini del Politecnico di Milano.
Tale valutazione dell’esposizione sarà dunque utilizzata in due studi epidemiologici caso-controllo di popolazione, uno nelle province di Modena e Reggio Emilia per lo studio della sclerosi laterale amiotrofica, grazie alla partecipazione della Prof.ssa Jessica Mandrioli del Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze e responsabile del Registro Regionale della SLA (ERRALS) e uno nella provincia di Catania per lo studio dei disturbi dello spettro autistico grazie al contributo dei partner di progetto Prof.sse Maria Fiore e Renata Rizzo dell’Università di Catania.
Si resta sempre in ambito neurologico con il progetto coordinato dalla Prof.ssa Serena Carra, che verte sulla comprensione del ruolo della proteina da shock termico HSPB3 durante il differenziamento di neuroni motori periferici e cellule muscolari scheletriche. Le mutazioni genetiche di HSPB3 sono associate allo sviluppo di neuropatie periferiche e miopatie congenitali. Tuttavia ad oggi si ignorano le funzioni fisiologiche di questa proteina, nonchè i meccanismi alla base dello sviluppo delle patologie ad essa associate.
Il progetto utilizzerà cellule pluripotenti staminali indotte per costruire giunzioni neuromuscolari in sistemi 2D e 3D. Tali modelli di avanguardia saranno utilizzati per comprendere a livello molecolare come le forme mutate di HSPB3 causano degenerazione del sistema neuromuscolare e per identificare eventuali composti per futuri utilizzi terapeutici.
Lo studio sarà sviluppato in collaborazione con il Prof. Alessandro Rosa (La Sapienza) e coinvolgerà l’utilizzo dei sofisticati microscopi situati presso il Centro Interdipartimentale Grandi Strumenti (CIGS) e l’assistenza tecnica di alto livello dei tecnici che operano al suo interno. Un’equipe composta da giovani dottorandi/e, assegnisti/e di ricerca e personale tecnico con competenze nell’ambito della biologia molecolare saranno guidati dalla Prof.ssa Carra e dal Prof. Rosa al fine di sviluppare questo ambizioso progetto.
La ricostruzione di una copia digitale di ippocampo umano, a partire dalla modellizzazione matematica di ogni singolo neurone e delle sue connessioni sinaptiche: è questo l’obiettivo principale del progetto Hippocomp, che ha come PI il Prof. Jonathan Mapelli. La realizzazione di un simile modello è il primo passo per la generazione di gemelli digitali del cervello che consentano la successiva realizzazione di strumenti in silico di medicina personalizzata. La realizzazione di tali strumenti richiede l’utilizzo di dati riguardanti i neuroni umani per lo sviluppo e la calibrazione del modello stesso.
“All’interno di Hippocomp – spiega il Prof. Mapelli – ci focalizzeremo sull’ippocampo, una regione cerebrale coinvolta in svariate funzioni come ad esempio l’orientamento spaziale, la navigazione e la memorizzazione. Questa regione è ben confinata al di sotto della corteccia cerebrale ed è pertanto scarsamente accessibile dalle comuni pratiche cliniche e diagnostiche. L’obiettivo del progetto è quello di costruire una struttura completa di ippocampo umano basato su una connettività realistica generata tramite algoritmi innovativi partendo da dati sperimentali di imaging. Ci avvarremo di dati presenti in database pubblici che verranno arricchiti da dati sulla morfologia dei singoli neuroni acquisiti mediante tecniche avanzate di microscopia non lineare come l’imaging a due fotoni o lineare come la microscopia a foglio di luce in dotazione nei laboratori del Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze e finanziati con i finanziamenti per i Dipartimenti di Eccellenza 2017-2022”.
I dati ottenuti sperimentalmente unitamente ai modelli sviluppati nell’ambito di Hippocomp verranno integrati nelle piattaforme per la condivisione di dati di “Ebrains” (www.ebrains.eu), l’infrastruttura di ricerca europea per lo studio del cervello di cui Unimore è partner associato.
#stopthepain è l’acronimo del progetto, che ha come PI il Prof. Luca Pani con la collaborazione di Johanna Blom, Giovanna Rigillo, Veronica Rivi, Pierfrancesco Sarti del Dipartimento di Scienze Biomediche, Metaboliche e Neuroscienze, Fabio Tascedda e Cristina Benatti del Dipartimento di Scienze della Vita di Unimore, basato su una ricerca preclinica e clinica traslazionale multidisciplinare, che adotta un approccio dinamico e innovativo per studiare nuovi obiettivi diagnostici e terapeutici per il trattamento dell’emicrania nell’adolescenza e nella giovane età adulta. Gli adolescenti e i giovani adulti con emicranie gravi o ricorrenti spesso soffrono di elevate necessità mediche non soddisfatte. La ricerca di nuove e migliori strategie terapeutiche è più urgente che mai.
L’adolescenza e la giovane età adulta rappresentano periodi di ampia riorganizzazione neuroanatomica, funzionale e chimica del cervello umano, riflettendo notevoli cambiamenti maturativi nel comportamento e nella cognitività. Tuttavia, questa cruciale fase di transizione nello sviluppo neurologico è caratterizzata dalla prima comparsa di disturbi, come la depressione e l’emicrania, che presentano una sovrapposizione clinica e patofisiologica, sono altamente prevalenti e per i quali non esistono trattamenti realmente efficaci.
“Il nostro gruppo collaborativo – spiega il Prof. Pani – offre un approccio integrato di base e clinico alla ricerca proposta con specifiche competenze nello sviluppo di modelli animali legati al dolore e al comportamento simil-depressivo. Adotteremo un approccio di rete utilizzando la convergenza di specifici fattori biologici, genetici, cognitivi, comportamentali e contestuali, definendo fenotipi specifici e identificando obiettivi diagnostici e terapeutici utili per lo sviluppo di nuovi trattamenti”.
L’obiettivo finale è studiare un principio dimensionale che coinvolga il ruolo della serotonina e dei processi infiammatori negli adolescenti e nei giovani adulti diagnosticati con emicrania e cefalee gravi e ricorrenti in uomini e roditori, il quale potrebbe servire come base per comprendere ciò che è comune e allo stesso tempo unico riguardo al ruolo della serotonina in questa patologia debilitante durante l’ultima fase dello sviluppo neurologico.
Stabilire invece il ruolo dello stress nel determinare l’insorgenza di epilessia, in un contesto di predisposizione, nonché nel determinare un quadro clinico peggiore quando l’epilessia si sia instaurata, è l’obiettivo del progetto PRIN coordinato dal Prof. Giuseppe Biagini, che sarà realizzato da tre unità di ricerca che includono l’Università dell’Aquila (responsabile il prof. Pierangelo Cifelli) e l’Università Milano-Bicocca (responsabile il prof. Antonio Torsello), oltre all’Unità di ricerca Unimore composta da quattro ricercatori (le Dott.sse Rossella Avallone, Anna Maria Costa e Cecilia Rustichelli e il Dott. Don Giovanni Vitale) e due assegnisti di ricerca (la Dott.ssa Chiara Lucchi e il Dott. Mohammad Gol).
Oggetto dello studio sarà la valutazione del rapporto fra alcune molecole prodotte nel tessuto nervoso note per le loro proprietà anticonvulsive, ansiolitiche e antidepressive, generalmente indicate con il termine “neurosteroidi”, la loro interazione con il recettore di tipo A dell’acido gamma-amminobutirrico (GABA), e l’evoluzione di un tipo di epilessia particolarmente diffusa in età adulta, caratteristica del lobo temporale del cervello, nella maggioranza dei casi associata alla presenza di lesioni cerebrali caratteristiche, come la sclerosi ippocampale. Saranno verificati gli effetti di un farmaco che potenzia la produzione dei neurosteroidi, il trilostano, con l’obiettivo di potenziale l’attività antiepilettica esercitata dal recettore di tipo A del GABA.
Un altro grande ambito di studi è quello legato ai tumori, a partire in particolare dal tumore della mammella, sul quale si focalizza il PRIN coordinato dalla Dott.ssa Angela Toss con la collaborazionedelle Dott.sse Ornella Ponzoni, Claudia Piombino e Federica Caggia di Unimore. Si tratta di una malattia clinicamente e biologicamente eterogenea, tuttavia, la stragrande maggioranza della diversità biologica proveniente dal DNA, dai miRNA e dalle proteine è catturata dai quattro principali sottotipi intrinseci definiti solo dall’espressione genica.
In effetti, negli ultimi vent’anni, la profilazione dell’espressione genica ha dimostrato un notevole impatto sulla nostra comprensione della biologia del tumore mammario. Oltre all’attuale classificazione su base patologica, sono stati identificati e ampiamente studiati quattro sottotipi molecolari intrinseci di tumore mammario: i sottotipi Luminal A, Luminal B, HER2-enriched e Basal-like. Questa classificazione molecolare fornisce informazioni clinicamente rilevanti con valore prognostico e predittivo.
Obiettivi principali del progetto sono: valutare la distribuzione dei sottotipi intrinseci nel tumore mammario HR+/HER2-negativo correlato a BRCA, verificando la nostra ipotesi che questi BC siano arricchiti in sottotipi molecolari predittivi dell’indipendenza endocrina, valutare le differenze nella distribuzione del sottotipo intrinseco tra tumori HR+/HER2-negativo associato a BRCA1 e tumori associati a BRCA2 ed esplorare il ruolo prognostico in termini di sopravvivenza globale (OS) dei diversi sottotipi molecolari nel tumore mammario HR+/HER2-negativo associato a BRCA.
Altro genere di tumore è il Carcinoma Squamocellulare (SCC), che rappresenta il secondo tipo di cancro cutaneo più diffuso tra la popolazione caucasica e mostra un aumento significativo della sua incidenza. Nonostante la maggior parte di questi tumori sia curabile tramite asportazione chirurgica, circa il 5% dei casi causa metastasi, riducendo la sopravvivenza a 5 anni al 25-35%. Ancora poco conosciute sono le caratteristiche che determinano l’aggressività e la progressione tumorale.
Il progetto coordinato dalla Prof.ssa Caterina Longo mira, invece, a definire il profilo molecolare delle forme aggressive di carcinoma squamocellulare, integrando approcci clinici e molecolari. Consiste in una fase di “discovery”, in cui si studieranno le caratteristiche molecolari peculiari dei SCC ad alto rischio rispetto a quelli a basso rischio, utilizzando avanzate tecniche di analisi molecolare, e una fase di validazione in cui le alterazioni molecolari identificate nei SCC ad alto rischio saranno ricercate nelle lesioni cutanee di una popolazione di studio arruolata in modo prospettico.
Nell’unità di ricerca del progetto sono coinvolte anche la Prof.ssa Laura Bertoni, del Dipartimento CHIMOMO, e alcuni dottorandi e dottorande che sono parte integrante del team di ricerca. Le altre Unità di Ricerca che partecipano al progetto sono guidate dalla Prof.ssa Maria Concetta Fargnoli dell’Università degli Studi dell’Aquila, dalla Prof.ssa Ketty Peris dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano e dalla Dott.ssa Elvira Moscarella dell’Università degli Studi della Campania “Luigi Vanvitelli”.
Se tradizionalmente, la diagnostica molecolare dei tumori ereditari era eseguita attraverso il test di un singolo gene candidato per volta, utilizzando il sequenziamento del DNA dei soggetti con metodica tradizionale, cosiddetta di Sanger, oggi, lo studio mutazionale dei geni responsabili delle sindromi neoplastiche ereditarie è effettuato mediante un approccio di Next Generation Sequencing.
Con questo termine ci si riferisce ad un insieme di tecnologie che consentono il sequenziamento parallelo di milioni di sequenze di DNA e di n decine di soggetti contemporaneamente. Questa produttività, enormemente superiore al sequenziamento tradizionale, ha permesso ai laboratori di abbattere i tempi ed i costi di queste indagini molecolari. Inoltre, il ruolo fondamentale nella gestione clinica dei pazienti che i risultati forniti da questi test genetici hanno assunto, ha guidato l’espansione delle tecnologie e in particolar modo degli strumenti analitici dei dati di Next Generation Sequencing. Questo si è tradotto nella produzione di un numero maggiore di risultati genetici, anche inattesi, che pone nuove sfide ai laboratori.
Lo studio delle varianti a bassa frequenza dei geni di predisposizione al cancro per l’identificazione del mosaicismo costituzionale, che ha Principal Investigator la Prof.ssa Elena Tenedini, con partner la Dott.ssa Lorena Incorvaia, dell’Università degli Studi di Palermo, nasce proprio dall’osservazione di questi risultati rari e inaspettati, ma potenzialmente di grande importanza per la gestione clinica dei pazienti.
La ricerca, si pone lo scopo di migliorare l’attuale standard delle routine di analisi costituzionali in pazienti che sono nel sospetto di sindrome neoplastica ereditaria. La corretta e puntuale identificazione di pazienti portatori di varianti costituzionali a bassa frequenza, permetterebbe l’ottimizzazione dei percorsi di laboratorio evitando così risultati non conclusivi e consentirebbe l’identificazione di pazienti e familiari come soggetti portatori di una variante genomica clinicamente rilevante; questi soggetti potrebbero beneficiare di programmi specifici di prevenzione, screening e strategie di riduzione del rischio.
Lo studio multidisciplinare condotto dal Prof. Paolo Magistri è rivolto invece ai pazienti affetti da epatocarcinoma (HCC) candidati a trapianto di fegato presso il Reparto di Chirurgia Oncologica, Epatobiliopancreatica e Trapianti di Fegato dell’AOU di Modena, diretto dal Prof. Fabrizio Di Benedetto.
La sua caratteristica principale è rappresentata dall’utilizzo delle tecnologie più innovative nell’ambito della trapiantologia moderna e della ricerca oncologica, con l’obiettivo di studiare il ruolo della perfusione ex-vivo degli organi destinati al trapianto di fegato nel prevenire la recidiva di HCC attraverso un processo di randomizzazione al momento della donazione dell’organo.
Il progetto ha un disegno a singolo centro, per la parte clinica, e multicentrico relativamente alla ricerca di base, che coinvolge l’Università degli Studi di Salerno (co-P.I. prof. Eduardo Sommella), ed il Laboratorio di Terapie Cellulari dell’AOU di Modena, diretto dal Prof. Massimo Dominici, con la collaborazione della Dott.ssa Valentina Masciale e della Dott.ssa Ilenia Mastrolia.
Le evidenze di letteratura attuali mostrano una chiara correlazione tra l’infiammazione e la recidiva del tumore. Pertanto, le macchine da perfusione potrebbero aiutare a spezzare la catena di eventi che sostiene il danno da ischemia-riperfusione, proteggendo il microambiente epatico e, potenzialmente, traducendosi in una riduzione delle recidive di HCC. L’applicazione delle tecniche di perfusione ipotermica, secondo la letteratura corrente, porta notevoli benefici quali la riduzione delle complicanze post-operatorie e la riduzione dell’incidenza di stenosi biliari non-anastomotiche.
Il suo utilizzo è attualmente riservato ai pazienti che ricevono un organo da donatori dopo morte cardiaca (DCD) per la prevenzione della colangioapatia ischemica, o da donatori cosiddetti “extended criteria” per mitigare il rischio di disfunzione dell’organo dopo trapianto. Secondo il protocollo di studio, al momento della donazione i candidati al trapianto di fegato verranno randomizzati per l’applicazione di macchina da perfusione ipotermica vs. gruppo di controllo. Parallelamente, verranno raccolti campioni biologici ad intervalli temporali definiti, al fine di identificare microRNA da vescicole extracellulari derivate da biopsia liquida (sangue periferico), come fonte di informazioni prognostiche a favore della recidiva di HCC.
Lo studio dei microRNA serve ad identificare la capacità della macchina da perfusione nel modulare il rischio di recidiva di HCC dopo macchina da perfusione e la riduzione della disfunzione precoce dell’organo trapiantato. Infine, gli stessi campioni saranno utilizzati per l’identificazione di marcatori prognostici di IRI e HCC mediante metabo-lipidomica basata sulla Spettrometria di Massa (MS).
La candida, un fungo presente nel microbiota umano che può colonizzare cute e mucose di soggetti sani, tra cui il tratto vaginale di donne sane è al centro dello studio che ha come PI la Prof.ssa Eva Pericolini e vede la partecipazione del Prof. Samuele Peppoloni di Unimore e dei Proff. Francesco De Seta e Manola Comar dell’Università di Trieste. Siffatta patologia è inoltre in grado di causare mucositi di lieve/media entità (come la candidosi vulvovaginale -VVC) ed infezioni invasive gravi in soggetti immunodepressi.
L’ampia diffusione in ambito femminile, fa della VVC un grave problema di sanità pubblica. “Nei nostri studi – spiega la Prof.ssa Pericolini – abbiamo di recente osservato che ceppi di Candida isolati da donne con VVC hanno una maggiore tendenza a causare esfoliazione epiteliale rispetto a quelli ottenuti da donne sane, un effetto questo responsabile delle perdite vaginali che seguono all’infezione”.
Sulla base di tali evidenze questo progetto di ricerca ha come scopo quello di studiare i meccanismi molecolari responsabili dell’aumentata virulenza dei ceppi responsabili di VVC. L’analisi RNA-seq effettuata al fine di confrontare le risposte intracellulari delle cellule epiteliali vaginali in risposta all’infezione con isolati di Candida da donne sane o con VVC ha evidenziato una diversa attivazione di specifici pathway intracellulari, tra cui quello dell’interferone di tipo I (IFN-1). In questo progetto ci focalizzeremo pertanto sul ruolo del pathway dell’IFN-1 sulla risposta dell’epitelio vaginale a Candida. I dati preliminari suggeriscono che gli isolati fungini di donne con VVC sono più virulenti di quelli ottenuti da donne sane e che tale aumentata patogenicità potrebbe essere dovuta ad una down-regolazione della via di IFN-1.
La dinamica dell’infiammazione periferica residua in soggetti con infezione da HIV soppressi virologicamente randomizzati a duplice terapia orale o a duplice terapia iniettabile è il focus dello studio che vede come PI la Prof.ssa Cristina Mussini di Unimore, con il supporto della Prof.ssa Gilia Marchetti (Unimi) e del Prof. Paolo Maggi (Università della Campania Vanvitelli).
Lo scopo è valutare le differenze nei parametri infiammatori nei soggetti con infezione da HIV sottoposti a trattamento antiretrovirale combinato con soppressione virale, che passano a un regime orale duplice o a un regime duplice iniettabile. Questo è uno studio prospettico multicentrico, che coinvolge 3 Unità di Ricerca per almeno 6 mesi: Università di Modena, Università di Milano – Ospedale San Paolo e Università della Campania. Per ciascun paziente oltre al controllo di routine dell’HIV, verranno raccolti fino a 30 ml di sangue periferico per eseguire analisi di laboratorio di ricerca.
La messa a punto di modelli innovativi per lo studio della patogenesi microbica e della risposta dell’ospite a livello mucosale, focalizzando l’attenzione sull’apparato respiratorio e genitale e sulla compresenza di patogeni diversi, è lo scopo del progetto coordinato dalla Prof.ssa Elisabetta Blasi, che vede il coinvolgimento del Prof. Claudio Cermelli, del Dott. Andrea Ardizzoni e della Dott.ssa Arianna Sala presso Unimore, nonché il contributo di studiosi e studiose di altri Atenei (Siena, Parma e Pisa), con cui esiste già una intensa e pluriennale collaborazione.
Saranno allestiti modelli in vitro di cellule epiteliali respiratorie o genitali in monostrato, pluristrato differenziato o all’interno di sistemi microfluidici e, per mimare al meglio le condizioni presenti in vivo a livello mucosale, verranno aggiunte cellule immunitarie, quali macrofagi o neutrofili, e/o fattori solubili tissutali, come fluidi vaginali artificiali o anticorpi.
Una volta messi a punto, tali modelli di mucosa respiratoria e genitale verranno sottoposti ad infezione mono o polimicrobica, utilizzando patogeni di rilevanza clinica nei due distretti anatomici; nel caso della mucosa respiratoria, sono stati selezionati il batterio Streptococcus pneumoniae e il Coronavirus umano OC43, mentre negli studi sulla mucosa del tratto genitale, i funghi Candida albicans/parapsilosis e il virus Herpes Simplex 2.
Verranno indagate, a livello fenotipico e molecolare, le interazioni ospite-patogeno nei protocolli di infezione monomicrobica e le interazioni ospite-patogeno e patogeno-patogeno nel caso in cui gli epiteli vengano cimentati con due patogeni contemporaneamente. L’impiego di ceppi mutanti consentirà inoltre di individuare e caratterizzare nuovi tratti di virulenza microbici, anche in relazione alla reattività dell’ospite.
Nel complesso, questo progetto intende costruire prototipi rappresentativi, duttili ed efficaci per nuovi studi sulla patogenesi delle infezioni mucosali da singolo patogeno o polimicrobiche, definendo nel dettaglio sia il ruolo dell’ospite sia del o dei patogeni. In prospettiva, ne deriverà la possibilità di disegnare strategie innovative per contrastare in modo più efficace le infezioni a livello del tratto respiratorio e genitale.