FocusUnimore > numero 40 – ottobre 2023
I PRIN 2022 con PI di Unimore finanziati dal MUR che rientrano nell’area Tecnologia sono legati a temi che spaziano dall’additive manufacturing per progettare dispositivi medicali allo stoccaggio di idrogeno, dalla blockchain alle comunicazioni veicolari fino al monitoraggio di fondali marini o territori.
Progetto GIFTED
Un progetto che mira a progettare dispositivi NiTi medicali tramite additive manufacturing, (raggiungendo i requisiti sia strutturali sia funzionali di quelli realizzati al laser, con un maggiore grado di personalizzazione e una maggiore applicabilità nelle operazioni endovascolari, evitando quindi chirurgia invasiva e maggiore ospedalizzazione) è quello che ha come PI il Prof. Andrea Spaggiari, il quale coordina un gruppo formato dal Dott. Luke Mizzi e Farzaneh Hoseini (Unimore), nonché dal Prof. Felice Pecoraro (UniPalermo), dal Prof. Francesco Bucchi di (UniPi) e dalla Dott.ssa Annalisa Fortini (Unife).
Il materiale migliore per un impianto endovascolare è il Nitinol, una lega di Nichel-Titanio (NiTi) ampiamente utilizzata nei dispositivi biologici grazie alla sua buona biocompatibilità, resistenza alla corrosione e all’usura, resistenza meccanica e superelasticità. I dispositivi NiTi, come stent o flow diverters, hanno una buona resistenza a fatica e tollerano deformazioni su larga scala rispetto a quelli in acciaio.
La caratteristica comune dei dispositivi NiTi commerciali è la tecnologia utilizzata per fabbricare i dispositivi. Questi sono costituiti da una maglia molto fine ottenuta da tubi NiTi tagliati al laser, con una forte limitazione della forma e molto materiale perso nel processo. Considerando l’elevato costo della materia prima e il costo dell’operazione di produzione, è auspicabile un miglioramento in quest’ottica, che può essere ottenuto grazie all’additive manufacturing (AM). Inoltre, poter seguire le anatomie specifiche dei pazienti e quindi avere un elevato grado di personalizzazione produce un miglioramento significativo nell’applicabilità endovascolare degli stent.
Le attuali forme del dispositivo, comprese quelle cilindriche e tronco-coniche, sono inadeguate per affrontare le biforcazioni dei vasi e le grandi ramificazioni dei vasi. Ad oggi, la mancanza di sviluppo di dispositivi specifici per le malattie in tali ambiti è attribuibile alla complessità della produzione e alle esigenze di personalizzazione. La necessità di un dispositivo di forma complessa custom è coerente con l’uso diffuso dell’applicazione endovascolare e dei suoi benefici associati. Le proprietà dei dispositivi oggetto dello studio realizzati in AM intendono superare le limitazioni di produzione menzionate. Studi approfonditi saranno dedicati alla ricerca dei parametri ottimali di stampa 3D per NiTi per ottenere proprietà meccaniche e proprietà superficiali e funzionali paragonabili, o anche migliori, ai dispositivi convenzionali.
Progetto Genesis
Le superleghe di nichel, materiali metallici caratterizzati dall’eccellente resistenza meccanica fino a 800 – 900 °C, sono anche i materiali tradizionalmente utilizzati per le parti calde delle turbine a gas per propulsione aeronautica. Nello sforzo di rendere il trasporto aeronautico effettivamente sostenibile, aumentando l’efficienza dei propulsori e riducendone sostanzialmente le emissioni, le superleghe di nichel mostrano però limiti evidenti.
D’altra parte, i progressi nelle tecnologie di fabbricazione dei materiali ceramici hanno consentito l’industrializzazione di compositi SiC(f)/SiC, costituiti da una matrice di carburo di silicio (SiC) rinforzata da fibre dello stesso composto. Con temperature operative di almeno 200 °C superiori e una densità circa 1/3 rispetto alle superleghe di nichel, permettono una sostanziale riduzione di peso e un aumento di efficienza dei motori aeronautici.
Sebbene già limitatamente in uso nei propulsori di più recente concezione, un impedimento ad un più diffuso impiego dei compositi SiC(f)/SiC è dato dagli effetti corrosivi del vapore acqueo, abbondantemente presente nei prodotti di combustione delle turbine a gas. È quindi indispensabile proteggere i compositi SiC(f)/SiC con rivestimenti, noti anche come “environmental barrier coating” (EBC), ma i sistemi EBC finora sviluppati hanno limitazioni tecniche e/o economiche.
Scopo del progetto Genesis, che vede coinvolti i Proff. Giovanni Bolelli (coordinatore), Cristina Siligardi e Luca Lusvarghi di Unimore insieme a gruppi di ricerca dell’Università di Roma – “La Sapienza” e dell’Istituto di Scienza, Tecnologia e Sostenibilità per lo Sviluppo dei Materiali Ceramici (CNR-ISSMC) di Faenza, è lo sviluppo di nuovi sistemi di rivestimento EBC che, sfruttando materiali nanostrutturati, architetture a gradiente funzionale, e tecniche di deposizione economicamente efficienti come la termospruzzatura, offrano un rapporto costo/prestazioni tale da favorire un impiego sempre crescente dei compositi SiC(f)/SiC nella propulsione aeronautica. A tal fine è necessario che i rivestimenti soddisfino un’ampia gamma di requisiti: non solo la resistenza al vapor acqueo, ma anche ai cicli termici cui è soggetto un motore aeronautico, all’erosione da parte del pulviscolo atmosferico, e all’attacco chimico ad opera di silicati fusi, derivanti ad esempio da ceneri vulcaniche nell’atmosfera, come nell’ormai famoso caso dell’eruzione del vulcano Eyjafjallajökull (2010).
Il progetto, affronterà queste sfide combinando le rispettive competenze nell’ambito della sintesi di materiali ceramici avanzati e nanostrutturati, della produzione di rivestimenti tramite tecniche di termospruzzatura, della caratterizzazione fisica e funzionale dei rivestimenti stessi, e abbinerà allo sviluppo sperimentale anche metodi di simulazione numerica ad elementi finiti per la progettazione delle architetture di rivestimento, con l’obiettivo finale di ottenere un prototipo di componente SiC(f)/SiC rivestito con le soluzioni sviluppate nel progetto.
I metalli se in alcuni casi possono essere una grande risorsa, possono talvolta rappresentare anche un problema, soprattutto per l’ambiente, come nel caso dei cationi di metalli pesanti. Una soluzione a tal proposito viene offerta dalle tecnologie di incapsulamento che utilizzano processi di stabilizzazione/solidificazione (S/S). Tra questi, quelli a base di cemento o materiali inorganici simili alla zeolite sono riconosciuti come i più economici e semplici in termini di numero di operazioni.
La cementificazione di rifiuti contenenti metalli pesanti soffre di alcune limitazioni dovute alla compresenza di anioni, come i cloruri, e al possibile eccesso di acqua e/o di sostanze organiche e oleose. Nel corso degli anni si è notato che quando la tecnica S/S viene effettuata ad alte temperature alcune specie volatili vengono perse. Pertanto, sono preferibili approcci a bassa temperatura, come l’incapsulamento in geopolimeri. I processi a bassa temperatura hanno il vantaggio di sfruttare il contenuto di acqua dei rifiuti liquidi stessi, rendendo questa tecnologia un esempio del principio “zero water use”.
Il progetto, che ha come PI la Prof.ssa Isabella Lancellotti con il supporto della Prof.ssa Cristina Leonelli, propone un approccio innovativo di immobilizzazione diretta di cationi e anioni in materiali attivati con alcali (geopolimeri) aggiungendo un ambiente riducente e/o chelante (FeSO4, chitosano, idrossiapatite) utilizzando rifiuti sia reali sia simulati di interesse industriale (acque reflue dell’industria conciaria, fanghi dei processi galvanici e ceneri volanti degli inceneritori urbani, ecc).
Per quanto riguarda l’approccio metodologico, le attività specifiche sono descritte in 5 unità: selezione, caratterizzazione e preparazione di acque reflue/fanghi/solidi di interesse industriale da inertizzare; progettazione e preparazione di diverse formulazioni di geopolimeri a partire da metacaolino con aggiunta di reagenti dedicati in combinazione con l’attivatore alcalino; caratterizzazione del prodotto finale dal punto di vista strutturale e ambientale; ottimizzazione delle formulazioni più performanti in termini di riduzione del costo delle materie prime e massimizzazione del contenuto di rifiuti; caratterizzazione chimica avanzata del meccanismo di incapsulamento di cationi e anioni nelle formulazioni ottimizzate.
I risultati del progetto saranno l’individuazione di una matrice idonea all’immobilizzazione degli inquinanti in termini di stabilità a lungo termine, la preparazione di prototipi basati su metacaolino e fonti di alluminosilicato a basso costo, schede tecniche riportanti le proprietà dei materiali preparati.
Dai metalli pesanti si passa a nuovi materiali edili ecosostenibili, ispirati alle costruzioni antiche, con il progetto coordinato dal Prof. Angelo Marcello Tarantino con la collaborazione del Prof. Stefano Vidoli di Uniroma1.
La terra cruda è il più antico materiale da costruzione. Si tratta di un composto di argilla e inerti naturali, lasciato semplicemente ad essiccare all’aria, senza bisogno di cottura, che richiede poco consumo di energia e regala forme e superfici con qualità cromatiche, tattili e funzionali uniche, che ne fanno un materiale naturale per eccellenza.
I reperti archeologici più antichi sono dei mattoni di fango trovati a Gerico, risalenti al Neolitico pre-ceramico (8000 a.C.) e delle case di mattoni crudi scoperte nel Turkestan russo (8000-6000 a.C.). Anche la Grande Muraglia Cinese, molto più recente, è stata originariamente costruita in terra battuta e solo in seguito rivestita per sembrare di pietra. Esistono testimonianze di opere in terra cruda realizzate con principi costruttivi pressoché identici in tutto il mondo.
Queste costruzioni risultano resistenti, atossiche, ignifughe e biodegradabili. Il progetto di ricerca propone un’evoluzione della terra battuta, ottimizzandone la miscela e la tecnica di posa in opera. Il nuovo materiale è stato nominato terra proiettata (shot-earth) e può essere ampiamente impiegato dalla moderna industria delle costruzioni civili.
La sostenibilità passa anche dalla riduzione dei consumi energetici, realizzabile ad esempio tramite l’utilizzo di semiconduttori bidimensionali come i dicalcogenuri di metalli di transizione (TDM), che permettono di realizzare dispositivi elettronici di dimensioni di pochi nanometri.
I principali metodi di fabbricazione sono difficilmente adattabili ad una produzione su larga scala; essi richiedono condizioni di crescita severe e molto raffinate. Inoltre, le proprietà di tali materiali, formati da pochi strati atomici, sono altamente suscettibili alle perturbazioni, comprese le condizioni ambientali durante il funzionamento del dispositivo. Una sfida importante è quindi determinare il comportamento di questi materiali durante il loro effettivo funzionamento in un dispositivo.
Il progetto Petra, che ha come PI il Prof. Luca Pasquali supportato dal Prof. Sergio D’Addato, con la compartecipazione del CNR, degli istituti IMEM – sede di Trento – e IOM – sede di Trieste, ha come obiettivo la preparazione e lo studio di materiali bidimensionali basati su TDM sfruttando una tecnica di deposizione elettronica pulsata innovativa (IJD) per crescere film sottili nanostrutturati che siano uniformi su larga scala ma che preservino le proprietà optoelettroniche uniche dei TMD formati da pochi strati atomici; il progetto mira inoltre a studiarne in dettaglio i cambiamenti chimici e/o strutturali e comunque la variazione delle proprietà elettroniche e ottiche durante il loro funzionamento, per offrire indicazioni adeguate all’ottimizzazione dei protocolli di crescita e indirizzare verso la progettazione di composizioni idonee alle applicazioni.
Per raggiungere una gestione sostenibile dell’energia e l’equilibrio tra emissioni e rimozione di anidride carbonica (carbon neutrality), nei piani energetici nazionali e internazionali, un ruolo fondamentale è giocato da strategie basate sull’utilizzo di idrogeno (H2). Lo stoccaggio ottimizzato di H2 è uno degli obiettivi per una diffusione capillare di questo vettore energetico. L’approccio del progetto Headstone, coordinato dal Prof. Luca Lusvarghi, si basa sullo stoccaggio di H2 allo stato solido, che consente di operare a pressione molto più bassa rispetto allo stoccaggio allo stato gassoso.
Specificamente, Headstone ha come scopo lo sviluppo di leghe ad alta entropia (High Entropy Alloys, HEA), una classe di materiali metallici i cui primi studi sono apparsi solo a metà degli anni 2000. Essendo leghe multicomponente, ossia composte da più elementi della tavola periodica, le combinazioni possibili sono molteplici e permettono di ottenere proprietà eccellenti per diverse applicazioni. Recenti studi hanno dimostrato le potenzialità delle HEA anche in ambito di stoccaggio allo stato solido di H2 a pressioni di assorbimento e temperature di rilascio sostenibili.
Headstone vedrà la cooperazione di gruppi di ricerca specializzati di Unimore in differenti ambiti dell’ingegneria: la progettazione e la sintesi delle polveri costituenti le leghe HEA sarà condotta dai Proff. Paolo Veronesi, Elena Colombini, Luca Lusvarghi, Giovanni Bolelli e dai Dr. Magda Gualtieri, Alessandro Togni, Alessia Bruera e Giulia Poppi (DIEF); la ricerca e sviluppo di sistemi per il desorbimento verrà realizzata dai Proff. Mauro Alessandro Corticelli e Alberto Muscio (DIEF), e dal Prof. Paolo Emilio Santangelo (DISMI). Collaborano al progetto anche due centri CNR: CNR-ICMATE, che contribuirà alla realizzazione di rivestimenti da fase vapore in HEA con microstruttura ad alta area superficiale per massimizzare lo stoccaggio di H2, e CNR-ITAE, che valuterà le proprietà di assorbimento e rilascio di H2 da parte delle leghe HEA sviluppate nel progetto.
L’obiettivo del progetto, coordinato dal Prof. Lorenzo Rosa, è invece lo sviluppo di una piattaforma per la generazione nei gas di coppie di fotoni entangled correlati utilizzando fibre ottiche microstrutturate a nucleo cavo ad accoppiamento inibito, mediante tecniche sperimentali e di modellazione innovative specifiche per le fibre a nucleo cavo.
Le tecnologie di comunicazione quantica stanno raggiungendo la maturità, riuscendo a passare dal laboratorio alle applicazioni in pochi anni: per la loro applicazione è necessario disporre di una sorgente ottica che emetta coppie di fotoni legate dall’entanglement quantico, che consente loro di condividere il loro stato quantico nel tempo e a distanza. Negli ultimi anni è diventato un campo di intensa ricerca, dove le soluzioni innovative sono altamente ricercate per rendere la tecnologia realizzabile a livello di prestazioni industriali e con la necessaria affidabilità.
I generatori disponibili si basano principalmente su mezzi solidi non lineari come i cristalli e su fibre ottiche in silice a nucleo solido, ognuno dei quali presenta problemi specifici.
Il progetto svilupperà modelli e tecniche di simulazione che consentano di modellare i fenomeni non lineari che sono alla base della generazione di coppie di fotoni entangled, al fine di analizzare e progettare il prototipo della sorgente e ottimizzarne le prestazioni, tenendo conto anche delle non-idealità delle fibre a nucleo cavo e di come esse influiscono sulle prestazioni nelle telecomunicazioni quantiche. Svilupperà inoltre un apparato sperimentale per misurare le prestazioni di questi sistemi di fibre, utilizzando fibre commerciali a nucleo cavo con diverse specifiche disponibili sul mercato.
Passando al campo del digitale, la blockchain è ampiamente considerata un’innovazione rivoluzionaria che potrebbe avere un profondo impatto su quasi tutti i settori dell’economia e della società, di portata paragonabile all’introduzione di internet. Sebbene parole come “macchina della fiducia” e “funzionamento in assenza di fiducia” siano usate per invocare il potenziale rivoluzionario delle blockchain, ciò che implica la fiducia in ambito blockchain è ancora poco compreso.
Il progetto di ricerca interdisciplinare, che ha come PI la Prof.ssa Paula Ungureanu, con il supporto dei Proff. Giuliano Lemme e Massimo Pilati, mira a fornire una comprensione approfondita di cosa significhi fiducia negli ecosistemi blockchain. L’obiettivo principale è identificare diversi ambiti di applicazione della blockchain e per ciascuno di essi i principali stakeholder e meccanismi di collaborazione e le dinamiche di fiducia in gioco.
Il progetto mette insieme competenze di organizzazione e gestione della tecnologia, di informatica e di diritto delle nuove tecnologie. Lo scopo finale è quello di contribuire a una migliore comprensione della “rivoluzione blockchain” nelle relazioni sociali, giuridiche ed economiche e aiutare a prepararci ad essa. Il progetto proporrà inoltre l’analisi di nuovi modelli di architettura blockchain sulla base delle tassonomie di fiducia identificate.
Attualmente si prevede che il numero di dispositivi connessi in rete e con accesso al cloud superi i 125 miliardi entro il 2030, il che sottolinea come il volume di dati scambiati dai sistemi elettronici sia in rapidissima crescita. Dunque, l’approccio corrente basato sul cloud (centri di calcolo molto energivori dove avviene la maggioranza della computazione dei dati generati dai dispositivi elettronici) diverrà presto insostenibile dal punto di vista della transizione ecologica.
L’edge computing è una alternativa emergente che promette di dotare i dispositivi di significative capacità di calcolo, riducendo il carico computazionale del cloud e il trasferimento dati da e verso lo stesso, con significativi vantaggi per l’Internet of Things (IoT), le smart cities, l’intelligenza artificiale (AI) e le telecomunicazioni 5G e 6G (vitali per – ad esempio – lo sviluppo di automobili a guida autonoma). Tuttavia, la sua implementazione rappresenta una sfida enorme, in quanto i dispositivi che generano i dati (ad esempio gli smartphones) hanno risorse energetiche limitate (sovente alimentati a batteria) e ridotto ingombro, il che non permette loro di ottenere le prestazioni necessarie a processare in loco i dati prodotti.
Lo sviluppo dell’edge computing richiede uno stravolgimento dell’architettura alla base dei moderni microprocessori. Quest’ultima prevede una separazione fisica tra unità di memoria e di calcolo, il che comporta un continuo ed energeticamente sfavorevole trasferimento di dati tra le stesse. Per aggirare questo ostacolo sono in corso sforzi significativi verso lo sviluppo di architetture alternative, come quelle di tipo Logic-in-Memory (LIM), capaci di eseguire calcoli direttamente in memoria, che potrebbero favorire l’implementazione di AI direttamente a bordo dei dispositivi che usiamo ogni giorno. Infatti il paradigma LIM consentirebbe l’esecuzione energeticamente efficiente e a basso impatto ambientale di reti neurali artificiali (alla base di strumenti come ChatGPT) su dispositivi portatili, aprendo enormi opportunità per varie applicazioni come reti di sensori wireless, guida autonoma, diagnosi medica in tempo reale, sicurezza e sorveglianza, dispositivi indossabili e abbigliamento smart.
In questo scenario, il progetto Slimfit, coordinato dal Prof. Francesco Maria Puglisi, mira a sviluppare un’architettura LIM intelligente e completamente programmabile basata su memorie nanoelettroniche innovative attraverso la collaborazione tra Unimore e l’Università della Calabria, rappresentata dal Prof. Raffaele De Rose.
Il progetto Twinkle, che ha come PI il Prof. Marco Picone, si concentra invece sullo studio e sull’evoluzione del concetto di Digital Twin (o Gemelli Digitali) attraverso un approccio trasversale per la progettazione di applicazioni cyber-physical capaci di coniugare in moto intelligente il mondo fisico con quello digitale.
I Digital Twin rappresentano repliche software sincronizzate di dispositivi fisici, ora in espansione al di fuori del settore manufatturiero grazie all’integrazione con tecnologie edge, cloud, web e legate al mondo dell’Internet of Things. Questa evoluzione richiede nuove architetture e approcci più flessibili rispetto alle soluzioni attuali per sfruttare appieno il loro potenziale tramite nuove forme di modellazione, comunicazione interoperabile e attraverso la creazione di piattaforme Software aperte e distribuite.
L’obiettivo del progetto è quindi quello di investigare, sviluppare e sperimentare nuove conoscenze chiave ed approcci innovativi per i Digital Twin in termini di definizione formale, modellazione, sviluppo software e tramite piattaforme distribuite standard ed interoperabili capaci di gestirne l’esecuzione attraverso un continuum computazionale edge-to-cloud.
La sicurezza delle comunicazioni veicolari è un ambito in continua evoluzione, anche grazie all’aumento di veicoli connessi e dotati di funzioni sempre più avanzate di assistenza alla guida. Le vulnerabilità informatiche identificate nel recente passato dimostrano che i veicoli connessi necessitano miglioramenti in tre principali aspetti: privacy, sicurezza post-quantistica, attribuzione di responsabilità in caso di attacchi informatici. Il progetto FuSeCar, con PI il Prof. Mirco Marchetti, affronterà questi problemi in quattro ambiti: comunicazioni Veicolo-Veicolo, Veicolo-Infrastruttura, Veicolo-Rete di distribuzione elettrica e Aggiornamenti Over-The-Air.
FuSeCar mira a fornire un’analisi completa delle minacce alla privacy in uno scenario realistico in cui vengono utilizzati contemporaneamente diversi protocolli di comunicazione e servizi. Ancora più importante, si mira a riprogettare questi servizi attraverso nuovi paradigmi che sfruttano approcci zero-knowledge impedendo la divulgazione di identificatori che possono essere utilizzati per tracciare e (ri)identificare veicoli e cittadini.
La resistenza quantistica è obbligatoria per i futuri schemi e protocolli di comunicazione V2X a prova di futuro. Implementazioni aperte di crittosistemi post-quantistici sono già disponibili, e sono in corso sforzi di standardizzazione da parte del NIST. Tuttavia, le particolari restrizioni degli scenari dei veicoli connessi (piattaforme hardware limitate, limiti rigorosi nelle dimensioni dei messaggi,limiti di latenza) richiedono ulteriori sforzi di ricerca. All’interno di FuSeCar verranno proposti protocolli di comunicazione sicura basati su crittografia post-quantistica e mirati ai veicoli connessi.
Infine, è necessario realizzare soluzioni che consentano un’identificazione certa degli attori malevoli che mirano a compromettere la sicurezza delle comunicazioni tra veicoli. A tal fine, è necessario migliorare gli approcci esistenti per la rilevazione di intrusioni e comportamenti scorretti attraverso nuovi approcci distribuiti. Infine, la trasparenza e la verificabilità pubblica dei risultati sono fondamentali per realizzare un sistema affidabile che possa servire da base per l’attribuzione delle relative responsabilità.
Si passa al campo della robotica assistiva, con il progetto nato dalla collaborazione del Prof. Paolo Falcone (Principal investigator) e Laura Giarrè (responsabile del WG in Assistive Robotics dell’Istituto di robotica e macchine intelligenti) con il laboratorio di robotica del Politecnico di Milano guidato dal Professor Marcello Farina (Principal Investigator del progetto BUDD-e: Blind assistive aUtonomous Droid Device). Si pone il problema del supporto alla navigazione autonoma per persone con deficit motori o ipovedenti. Le tecnologie di guida autonoma possono essere applicate in supporto al progetto di sedie a rotelle automatiche o semiautomatiche per la navigazione in ambienti noti e non noti. L’esperienza decennale in tecnologie assistive in supporto delle persone ipovedenti si sposa con le competenze di guida autonoma per un progetto a forte ricaduta sociale.
Il monitoraggio degli ambienti marini fornisce informazioni essenziali per mappare lo stato ecologico degli ambienti sottomarini e quantificare l’impatto dei cambiamenti globali sugli ecosistemi marini. Il rilevamento dello stato di salute delle specie marine in via di estinzione richiede un elevato grado di accuratezza e un’elevata risoluzione; di contro, le attività di monitoraggio su larga scala e a lungo termine richiedono l’elaborazione di una quantità crescente di dati.
L’obiettivo principale del progetto di ricerca Euprhosyne, che ha come PI la Prof.ssa Cristina Castagnetti, consiste nell’ottimizzare, sperimentare e validare sia in laboratorio sia in mare un sistema di misurazione multi-sensore basato sull’integrazione di fotogrammetria e immagini di fluorescenza. Il progetto prevede anche lo sviluppo di algoritmi e approcci basati su intelligenza artificiale (AI) e computer vision finalizzati ad automatizzare l’analisi di grandi quantità di dati (generati dall’applicazione del sistema di misura su aree estese e con finalità di monitoraggio ripetuto nel tempo).
Le indagini ad alta risoluzione consentiranno lo sviluppo di nuove analisi digitali, quali la valutazione dello stato di salute delle specie a scala fine utilizzando la fluorescenza e la misurazione di parametri biometrici (conteggio dei polipi, quantificazione di aree superficiali e/o volumi) a partire da ricostruzioni 3D dettagliate degli organismi marini. Queste tecniche di misurazione ed elaborazione, consentendo la rapida estrazione non distruttiva di parametri rilevanti per comprendere lo stato delle comunità bentoniche, abilitano una strategia di monitoraggio preventivo con metodologie non invasive ed applicabili in maniera diffusa.
Il progetto intende sperimentare e porre a confronto l’utilizzo del sistema sia a cura di subacquei esperti sia installato a bordo di veicoli a guida remota (ROV), comunemente detti droni subacquei. La combinazione di queste tecniche emergenti apre la strada a opportunità innovative nella ricerca ecologica e risultati più efficaci rispetto alle misurazioni in situ tradizionali.
Il progetto AI-Drow infine, coordinato dal Prof. Lorenzo Sabattini, ha l’obiettivo di sviluppare un sistema robotico autonomo multi-aereo per ispezionare automaticamente campi coltivati e aree agricole al fine di individuare e allontanare gli animali selvatici.
Il progetto, che coinvolge anche un gruppo di ricerca dell’Università di Napoli Federico II, ha l’obiettivo di migliorare la convivenza tra esseri umani e fauna selvatica, preservando danni alle coltivazioni e riducendo al minimo i conflitti tra esseri umani e fauna selvatica. I danni causati dalle intrusioni degli animali selvatici nei campi raccolti rappresentano una delle principali cause di perdite di profitto per gli agricoltori, causando una perdita media del 20% del raccolto. Allo stesso tempo, l’espansione delle aree coltivate nelle precedenti aree di habitat della fauna selvatica rappresenta una delle prime motivazioni dei conflitti tra esseri umani e fauna selvatica. Per questo motivo, sono necessarie tecniche efficaci in grado di preservare sia i prodotti degli agricoltori sia la salute degli animali selvatici, in grado di allontanarli senza arrecare loro danni.
In questo contesto, i droni rappresentano i sistemi perfetti per ispezionare rapidamente grandi aree, cercando intrusi inaspettati. I droni possono essere equipaggiati con diversi sensori per consentire la rilevazione e il riconoscimento degli animali selvatici e contemporaneamente mantenerli lontani dall’area sorvegliata (ad esempio, mediante repellenti ad ultrasuoni). In AI-DROW, la flotta aerea sarà comandata come un sistema centralizzato che condivide continuamente informazioni sullo stato dell’ambiente. Approcci di apprendimento automatico vengono sfruttati per prevedere la posizione di un intruso e reagire prontamente alla presenza di animali selvatici nel campo. Anche se l’approccio proposto può essere generalizzato, in questo progetto ci si concentrerà sul caso dei cinghiali selvatici. Per rilevare gli animali selvatici verranno adottate tecniche di apprendimento automatico e visione artificiale.
La Notte della Ricerca di Unimore: oltre 4.000 presenze nella edizione 2023
Successo oltre le attese per la Notte della Ricerca 2023 di Unimore che ha visto oltre 4.000 presenze nelle sedi di Modena, Reggio Emilia e Mantova.
I cittadini e le cittadine che hanno partecipato all’evento hanno potuto spaziare tra i quasi 90 gruppi di ricerca che hanno esposto i loro studi, attraverso esperimenti, prototipi, laboratori, dibattiti e seminari. Il complesso San Geminiano e il Complesso San Paolo hanno fanno da cornice all’evento tenutosi a Modena ed hanno visto il passaggio di 2700 visitatori.
L’Osservatorio Geofisico ha visto salire il Torrione di Levante di Palazzo Ducale, sede dell’Osservatorio, oltre 300 persone che hanno potuto conoscere un luogo storico modenese, oltre che godere di una veduta notturna della città. Grande successo ha riscosso anche l’appuntamento pomeridiano proposto dai climatologi, ovvero il trekking urbano alla scoperta di Modena e del suo clima. Molte anche le persone interessate alle iniziative presentate a Reggio Emilia, infatti, quasi 900 visitatori si sono recati al Tecnopolo e si sono fatti catturare dai laboratori presenti nella struttura.
Unimore era presenta anche a Mantova: il programma si è svolto alla Loggia delle Pescherie Giulio Romano e dove i gruppi di ricerca dei corsi di Laurea in Ingegneria Informatica e in Chimica Verde e Sostenibilità sono stati avvicinati da centinaia di persone curiose e interessate.
La grande attrattività dell’evento è certamente legata anche alle numerose attività rivolte ai bambini e ai ragazzi che hanno potuto osservare, attraverso giochi e illustrazioni, ciò che sta alla base del lavoro scientifico, ma soprattutto capire in modo semplice principi chimici, matematici, fisici e neurologici o, ancora, alcune dinamiche sociali che riguardano le migrazioni, le differenze di genere, etniche e culturali, nonché le questioni connesse alla disabilità.