> FocusUnimore > numero 9 – novembre 2020
L’Italia, come noto, è un Paese ad alto rischio di terremoti, alluvioni, frane e altre calamità naturali, fenomeni che hanno drammaticamente segnato anche l’Emilia-Romagna in anni recenti. Le aree interne della Regione Emilia-Romagna, ovvero i territori dell’Appennino, sono estesamente interessate da frane tanto che l’indice di franosità, ovvero il rapporto tra aree in frana ed area totale collinare e montana, è – a scala provinciale – superiore al 20% in tutto il settore emiliano (23.2% in provincia di Modena, 26.2% in provincia di Reggio Emilia), con comuni nei quali tale indice di franosità supera anche il 60%. In questo territorio le frane sono causa di significativi e ripetuti danni alle reti viarie ed alle infrastrutture di rete e, non di rado, ai centri abitati. Conseguentemente, le frane hanno significative implicazioni per quanto riguarda la prevenzione del rischio, la previsione degli eventi, la gestione delle eventuali emergenze e gli investimenti necessari per la mitigazione del rischio ed il consolidamento dei versanti.
Nel Dipartimento di Scienze Chimiche e Geologiche di Unimore, operano unità di ricerca come quelle di Geologia Applicata, coordinata dal prof. Alessandro Corsini, e di Geografia Fisica e Geomorfologia, coordinata dal Prof. Mauro Soldati, che da anni si occupano di rischio idrogeologico, sia attraverso progetti di ricerca nazionali ed internazionali che di convenzioni di “terza missione” con enti pubblici di rango da comunale a provinciale.
In particolare, sotto la responsabilità scientifica del Prof. Corsini, il Dipartimento opera da vari anni quale struttura di supporto tecnico della Regione Emilia-Romagna – in particolare dell’Agenzia per la sicurezza territoriale e la protezione civile e del Servizio Geologico, Simico e dei Suoli -, nell’ambito di una convenzione-quadro pluriennale riguardante “Attività specialistica di supporto alla previsione ed alla pianificazione di emergenza di protezione civile in materia di rischio idrogeologico”. La previsione, prevenzione e mitigazione del rischio, sono le attività individuate dalla legge n. 225/92 istitutiva del Servizio Nazionale di Protezione Civile, che rappresentano la cornice operativa entro la quale si sviluppa tale convenzione.
Nello specifico, le attività svolte da ricercatori/trici del Dipartimento nell’ambito di tale accordo di collaborazione riguardano principalmente: (i) il monitoraggio di fenomeni di dissesto rilevanti per la protezione civile; (ii) la realizzazione di sopralluoghi su frane attive o riattivate ai fini delle valutazioni di rischio; (iii) lo sviluppo di modellistica numerica per la previsione dei fenomeni di dissesto idrogeologico in termini spaziali e temporali; (iv) l’analisi e valutazione di dati di telerilevamento ai fini dell’aggiornamento delle cartografie dei dissesti idrogeologici.
Relativamente alle attività di monitoraggio, il Dipartimento gestisce dati provenienti da vari sistemi innovativi operanti in siti di frana con acquisizione dati in continuo e controllo da remoto. Tali sofisticati sistemi fanno confluire grandi moli di dati ad un server Unimore attraverso il quale, a valle di processi di validazione, i dati sono resi disponibili ai funzionari della regione tramite applicativi web-GIS sviluppati ad-hoc e reportistiche periodiche. D’altra parte, tali dati consentono ai ricercatori Unimore di sviluppare innovativi algoritmi di analisi dei dati, volti a supportare l’interpretazione dei dati per individuare significativi segnali precursori di eventi di dissesto idrogeologico in grado di offrire attendibili valutazioni di allerta per le popolazioni ed i territori. Contestualmente, tali risultati consentono di analizzare dal punto di vista scientifico i complessi meccanismi geologico-tecnici che governano l’evoluzione delle frane in relazione alle forzanti climatiche ed antropiche.
Per quanto riguarda la realizzazione di sopralluoghi in caso di eventi di frana di interesse della protezione civile, il ruolo svolto dai ricercatori del Dipartimento, è quello di esperti a cui è richiesto di dare la propria opinione circa i possibili scenari di pericolosità e rischio e di suggerire – talora implementandole direttamente – soluzioni di monitoraggio emergenziale che possono essere rese operative nel breve periodo. Tutto ciò al fine di supportare la gestione delle emergenze in corso d’evento, con valutazioni dei più probabili scenari di evoluzione di una frana nei giorni e nelle settimane successive, così da consentire alla Regione Emilia-Romagna di mettere in campo le più opportune azioni di risposta per la riduzione del rischio. Anche in questo caso, nello svolgere attività di supporto alla protezione civile, i ricercatori Unimore hanno l’opportunità di raccogliere dati di grande valenza ai fini dello studio delle frane.
Lo sviluppo di modellistica numerica, altro rilevante ambito di collaborazione tra le parti, ha riguardato nel corso degli anni l’analisi dell’efficacia di interventi di consolidamenti di versanti e lo sviluppo di modelli di analisi dei dati per l’individuazione di soglie pluviometriche di allertamento. In particolare, quest’ultimo aspetto ha riguardato specificatamente fenomeni franosi rapidi quali le colate detritiche, frane che per l’elevata velocità con cui si evolvono possono essere un serio fattore di rischio per l’incolumità delle persone e delle infrastrutture. Fenomeni di tale tipo hanno severamente colpito il parmense ed il piacentino nell’ottobre 2014 e nel settembre 2015, ed in passato hanno provocato ingenti danni anche in altre aree appenniniche, tra cui il bacino del Secchia. Le soglie pluviometriche di innesco definite dai ricercatori Unimore, si basano sull’analisi di contingenza spazio-temporale tra eventi di colate detritica e dati pluviometrici a varia durata ricavati da radar meteorologici durante gli eventi di Parma e Piacenza. La loro spazializzazione a scala regionale, su base probabilistica, ha considerato la diversità dei regimi meteorologici del territorio. Tali soglie integrano – al momento a livello sperimentale – le soglie di allertamento standard definite a livello nazionale e recepite a livello regionale. Inoltre, sempre in relazione ai fenomeni di colata detritica, è in corso di completamento anche una carta di pericolosità a scala regionale, connotata da un livello di dettaglio sufficiente per essere parte integrante dei piani comunali di protezione civile. Anche in questo caso, risultati che sono considerati rilevanti per le attività di protezione civile, sono fonte di innovazione metodologica per consentire una loro adeguata valorizzazione in pubblicazioni su riviste nazionali ed internazionali.
L’ambito di attività riguardante l’analisi e valutazione di dati di telerilevamento ai fini dell’aggiornamento della cartografia dei dissesti idrogeologici a scala regionale è particolarmente rilevante. Infatti, tali carte rappresentano elemento conoscitivo fondamentale degli strumenti di pianificazione territoriale, dai piani di bacino ai piani urbanistici, per implementare per via normativa politiche di prevenzione. Una informazione chiave fornita da tali carte è lo stato di attività delle frane, un fattore tutt’altro che banale da determinare nel caso di frane di grandi dimensioni, che possono muoversi di pochi centimetri all’anno senza dare chiare evidenze sul terreno di movimenti. In tale ambito, i ricercatori del Dipartimento si occupano della cosiddetta radar-interpretazione, ovvero la valutazione da parte di esperti di frane di dati di spostamento del terreno (su base pluriennale o mensile) derivanti dall’elaborazione interferometrica di dati radar satellitari.
La significatività di tali dati, attualmente aggiornabili con grande frequenza grazie alla costellazione di satelliti “Sentinel” dell’Agenzia Spaziale Europea, necessita infatti di essere analizzata a seconda del contesto geologico a cui tali dati si riferiscono, tenendo altresì conto dei limiti intrinsechi delle diverse tecniche di elaborazione dati. L’obiettivo di questa attività, è pertanto quello di sviluppare protocolli di ottimizzazione dell’utilizzo di dati interferometrici per l’aggiornamento delle carte inventario e, in prospettiva, di consentire il loro utilizzo ai fini dell’allertamento sulla base di possibili movimenti precursori d’evento e per la valutazione dell’evoluzione spazio-temporale di frane in corso d’evento.
In conclusione, è evidente dalla descrizione dell’insieme di queste attività svolte dei ricercatori del Dipartimento di Scienze chimiche e Geologiche per conto della Regione Emilia-Romagna, come il confine tra terza missione e ricerca sia in questo caso sfumato, con beneficio per entrambe le parti. Infatti, se da un lato vi è un interesse diretto e specifico della Regione di svolgere determinate attività a supporto delle proprie finalità istituzionali, dall’altro tali attività consentono ai ricercatori Unimore di acquisire dati utili allo sviluppo di approcci ed algoritmi innovativi di analisi ed elaborazione dei dati, ed acquisire risultati di valenza generale nel campo della comprensione dei processi naturali che governano l’evoluzione dei fenomeni che vengono studiati e monitorati. In sostanza, terza missione e ricerca si interfacciano, in questo caso, in modo molto stretto, in quello che può essere visto come un esempio virtuoso di sinergia tra enti pubblici per il contrasto al rischio idrogeologico.