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Esaminando la produzione scientifica di Paolo Ruffini, si ha l’impressione che
l’interesse per la matematica abbia nettamente prevalso sulla medicina. In realtà
dal 1791 agli ultimi suoi giorni egli si spese molto nelle cure dei pazienti, con visite
frequenti e sollecite e con generoso impegno dal più umile dei concittadini ai
membri della casa ducale. Per la sua serietà nell’esercizio della professione non
pochi furono i privati e i medici del Ducato che a lui si rivolsero per ricevere pareri.
Nel 1817-18 Modena fu colpita da una dilagante epidemia di tifo e, prestando
cure ai tanti ammalati, ne rimase seriamente colpito lo stesso Ruffini, tanto
da versare in pericolo di vita. Una volta guarito stese una memoria (edita nel
1820) sostenendone la natura contagiosa, e, forte dell’esperienza personale, ne
descrisse minuziosamente i sintomi e le cure più opportune.
Fu questa l’unica memoria di carattere veramente medico data alle stampe dal
Ruffini; un’altra riguardante una Macchina atta a contenere le fratture oblique del
femore in modo da impedire l’accorciamento della coscia, è rimasta inedita tra i
suoi manoscritti e pubblicata solo nel 1966.
Ruffini mostrò sempre un forte attaccamento ai propri principi religiosi e più volte
impugnò la penna per trattare questioni filosofiche con l’intento di difendere e
sostenere il credo cattolico.
Ritratto ad olio di Paolo Ruffini,
opera di Biagio Magnanini (1780 – 1841).
Rettorato dell’Università di Modena e Reggio Emilia
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